Dal lancio della moneta unica, l’Area Euro ha creato 15,7 milioni di nuovi impieghi, più di quanti ne sono nati, nello stesso periodo, negli Stati Uniti. Difficile suffragare la tesi che la politica monetaria della Banca Centrale Europea abbia danneggiato l’occupazione, mancano i numeri. Ma i tempi che ci attendono si preannunciano ancora molto difficili: l’inflazione dell’Area Euro potrebbe toccare il 4 per cento nei prossimi mesi, a causa soprattutto dell’impatto stagflazionistico dell’irresistibile ascesa del prezzo del petrolio. Prosegue inoltre la divergenza di crescita intracomunitaria, con l’Italia ormai definitivamente ascesa al poco gratificante ruolo di “malato d’Europa” e una Germania che regge, grazie soprattutto al boom della manifattura destinata all’export.
I futures sui tassi monetari stanno iniziando a scontare un rialzo dei tassi Euro per i prossimi mesi, ma non è detto che le cose andranno effettivamente in questi termini, né la Bce ha già consolidato un orientamento restrittivo esplicito, che vada cioè oltre la semplice moral suasion, che tuttavia è di per sé sufficiente ad influenzare l’andamento dei rendimenti di mercato nel breve periodo, agendo sulle aspettative degli agenti economici. E’ importante stressare un concetto: non sta scritto sulle Tavole della Legge che la Bce non abbasserà i tassi, né ora né in futuro. Più semplicemente, si tratterà di un processo guidato dalle evidenze e dai dati che emergono dall’economia, che ad oggi danno ragione alla cautela con cui la Eurotower ha gestito l’Euro, in un contesto caratterizzato da crescenti dilemmi di politica monetaria.
Bumpy road ahead, direbbero gli americani. Per ora, basti riflettere sui dati, che dicono che a Francoforte qualcuno sta assolvendo alla propria missione istituzionale. Con buona pace dei numerosi aspiranti tipografi (i.e. stampatori di cartamoneta) che pontificano sul nulla, soprattutto dalle nostre parti.