Nemo propheta in patria

Il quotidiano Anchorage Daily News scarica Sarah Palin e decide l’endorsement a favore di Obama, presentato un po’ enfaticamente come una sorta di guru preveggente di tutti i mali dell’economia americana. Ma, per evitare di esporsi a rappresaglie, il quotidiano alaskano precisa che Palin è energica e carismatica ma che il vero problema è John McCain, che della crisi economica pare aver capito assai poco, con la famosa frase in stile-Hoover “i fondamentali della nostra economia sono forti”, pronunciata alle 9 del mattino, osserva perfidamente il quotidiano, salvo poi descrivere un’economia in crisi due ore più tardi.

Si potrebbe obiettare che probabilmente Palin della crisi ha capito assai meno di McCain, ma voi capite che all’Anchorage Daily News tengono famiglia; meglio quindi limitarsi a prefigurare un radioso avvenire per Palin, perché ora sarebbe troppo rischioso vederla commander in chief se accadesse qualcosa al povero Maverick, che a questo punto starà cominciando a toccarsi:

Yet despite her formidable gifts, few who have worked closely with the governor would argue she is truly ready to assume command of the most important, powerful nation on earth. To step in and juggle the demands of an economic meltdown, two deadly wars and a deteriorating climate crisis would stretch the governor beyond her range. Like picking Sen. McCain for president, putting her one 72-year-old heartbeat from the leadership of the free world is just too risky at this time.

Sullo scenario nazionale Palin potrebbe riciclarsi come lobbysta a favore delle trivellazioni nell’Arctic National Wildlife Refuge, a cui sia Obama che McCain sono contrari. Certamente di lobbies il governatore dell’Alaska se ne intende, come vuole dimostrare un’inchiesta dell’Associated Press (che presumiamo vada a rinfoltire la già pletorica lista dei perfidi mainstream media liberal), secondo la quale l’assegnazione da parte della Palin di un contratto per la costruzione di una pipeline per portare il gas naturale dall’Alaska al resto degli Stati Uniti sarebbe avvenuta al termine di una gara falsata, che avrebbe ristretto il numero dei partecipanti a vantaggio di una compagnia (TransCanada) che aveva legami con la sua amministrazione.

Anziché organizzare una gara attraendo molti potenziali offerenti, Palin avrebbe preferito eliminare dalla competizione le grandi compagnie energetiche attive nello stato, anche contro il parere del vicepresidente Dick Cheney, con la motivazione (in astratto fondata) di non assegnare troppo potere monopolistico ai fornitori di gas, facendoli diventare proprietari anche della rete. Ma dopo aver stabilito i termini della gara, e facendo il contrario di quanto suggerito dai legali, Palin avrebbe mantenuto stretti contatti con i potenziali appaltatori, assegnando poi la costruzione della pipeline a TransCanada, nel cui gruppo ha lavorato come lobbysta la sua principale consulente in materia.

Nelle more della gara d’appalto, inoltre, un ex dirigente di TransCanada è stato nominato consulente esterno dello stato, risultando determinante nel convincere il committente che la soluzione tecnica di TransCanada per trasportare gas a temperature di congelamento avrebbe funzionato. Da ultimo, mentre TransCanada quantificava il costo della pipeline in 26 miliardi di dollari, lo staff di Palin stimava invece un onere di 40 miliardi.

La costruzione della pipeline non è ancora iniziata, e mai potrebbe avvenire. Ma trattandosi della “volontà di Dio”, ci sono buone speranze.

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