Ci manca un Venerdì

Sapevate che l’andamento dei mercati finanziari è indipendente dallo stato di salute dell’economia? La sconvolgente scoperta si deve a Marco Marè, docente di Scienza delle Finanze all’Università della Tuscia di Viterbo e presidente di Mefop, l’agenzia pubblica (del Tesoro) per lo sviluppo dei fondi pensione, ed è stata illustrata nel corso di un’intervista a Corriere Economia, che abbiamo casualmente scoperto nel sito Crusoe.it, di cui Marè è uno degli animatori e Giulio Tremonti uno dei numi tutelari, con il sempiterno Giuliano Amato. Per il presidente del Mefop:

“Il sistema pensionistico pubblico presenta rischi, soprattutto per i lavoratori di mezz’età: se il Pil non cresce, si riduce il monte salari e si mette quindi a rischio la sua sostenibilità”.

E’ innegabilmente vero, poiché i contributi pensionistici vengono rivalutati ad un tasso pari alla media mobile del tasso di crescita del Pil nominale dell’ultimo quinquennio.

Questo meccanismo, se da un lato espone il lavoratore al rischio di variabilità del livello delle prestazioni in dipendenza del tasso di crescita dell’economia e della durata media di vita residua all’età del pensionamento, ha tuttavia l’insostituibile funzione di “garantire la sostenibilità e l’equilibrio finanziario del sistema pensionistico e ad assicurare il meccanismo del ‘patto sociale’ tra generazioni con forme di autoregolamentazione interne allo stesso sistema, che consentano di mantenere la pressione contributiva e fiscale a carico della popolazione attiva entro livelli tollerabili”, come recita la breve analisi dell’evoluzione della legislazione pensionistica di base, presente sul sito del Ministero del Welfare.

Appurato che tale rischio esiste, come ridurlo? Secondo Marè, occorre

“Allungare l’età pensionabile e sviluppare un pilastro integrativo a capitalizzazione legato ai mercati finanziari, in modo da diversificare iI rischio rispetto a quello obbligatorio, che basa la rivalutazione sull’andamento del Pil: del resto, la forte correlazione che si è verificata nel 2008 è destinata a ridursi”.

D’accordo sull’allungamento dell’età pensionabile, ma sul concetto di diversificazione del rischio rispetto a quello del pilastro previdenziale pubblico c’è molto da opinare e dissentire. In primo luogo, Marè dovrebbe spiegarci, con uno straccio di dato (ma in Italia non si usano, questo approccio è il frutto avvelenato del tremontismo, che usa solo l’affabulazione e la narrativa biblica) come e perché nel lungo periodo possa darsi che la crescita dei mercati finanziari ecceda quella dell’economia. Quella di Marè sembra un’argomentazione presa di peso dall’Era della Bolla, dei cui effetti stiamo ora soffrendo, quella in cui il peso dei titoli finanziari sulla capitalizzazione di borsa è più che raddoppiato, prima di trasformarsi in una supernova ed oggi in un buco nero. Voi riuscite ad immaginare una situazione in cui il tasso di crescita del Pil resta prossimo allo zero o negativo, mentre l’investimento sui mercati finanziari fornisce ritorni positivi? Si, direte, è quanto accade da tre mesi a questa parte. Certo, ma riuscite ad immaginare questo scenario lungo 5, 10, 30 anni? No, vero? Neppure noi.

Perché semplicemente non è possibile, nel lungo periodo, diversificare rischi che sono altamente correlati. Ma il nostro Marè non vuol farsene una ragione, e ribadisce il suo atto di fede nella decorrelazione tra economia reale e mercati finanziari:

“La crisi dell’anno scorso è stata d’eccezionale gravità e tutte le grandezze hanno avuto un andamento negativo, sono andati male i mercati finanziari e l’economia reale. Questo fenomeno, però, è stato assolutamente anomalo e non dovrebbe ripetersi. Inoltre non bisogna dimenticarsi degli anni scorsi, in cui i fondi pensione hanno ottenuto rendimenti positivi: del resto, non vi sono molte alternative per evitare un futuro di pensionati poveri”.

Anomalo? E’ anomalo che i mercati finanziari vadano male durante una recessione? Era anomalo che andassero bene, a seguito di tagli di tassi della Fed che restavano bassi e negativi in termini reali anche durante le successive riprese. Come fulmine a ciel sereno compaiono poi i numeri compaiono i numeri,

“Le pensioni obbligatorie forniranno iI 50-60% della retribuzione finale: quelle integrative saranno in grado di dare il 15-20% aggiuntivo, in modo da colmare almeno in parte il divario? Sì, lo spero e lo credo ancora”.

Sperare è innegabilmente il verbo più appropriato. Marè suggerisce poi il modo per riuscire a sganciare i ritorni dell’investimento finanziario dall’andamento dell’economia reale: liberarsi dei benchmark, e gestire secondo un approccio total return:

“La normativa sugli investimenti dev’essere resa più flessibile e adeguata alla nuova realtà dei mercati finanziari, che offre molti rischi, ma anche altrettante opportunità.
Dev’essere ampliata la gamma degli attivi ammissibili, per esempio fondi di private equity e gestioni assicurative di tipo tradizionale,e bisogna permettere una gestione più sofisticata e non legata esclusivamente al benchmark. Il tutto, sia chiaro, sotto l’attenta vigilanza della Covip”

Certo, sia chiaro. Un po’ come il suggerimento di consentire ai fondi pensione di investire in hedge funds e derivati? Per fortuna i nostri investitori e l’attuale normativa “non sanno l’inglese”, come direbbe il Poeta. Ma anche se fosse consentito come si può, a lume di logica, ipotizzare che, a livello di sistema, sia possibile ottenere rendimenti positivi di lungo periodo da un’economia che non cresce? E’ come tentare di sollevarsi da terra tirandosi per le stringhe delle scarpe. Né avrebbe senso, per evidenti motivi di sostenibilità di lungo perioso, limitare il discorso della crescita zero all’Italia.

Va bene che il Mefop esiste per fare promozione, come indica il suo stesso nome, al mercato dei fondi pensione, ma sarebbe opportuno fare una promozione che non prenda a pugni la logica ed il buonsenso.

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