Piercamillo Falasca precisa il rapporto tra Libertiamo e Gianfranco Fini. Un articolo estremamente opportuno ed altrettanto chiaro, per rispondere alle perplessità (alcune delle quali sono fatte proprie anche dal vostro titolare) ed alle critiche che da più parti vengono mosse al progetto-Libertiamo. Critiche quasi sempre argomentate, con qualche isolato e blogosferico raglio d’asino, ma statisticamente si tratta di quantités négligéables.
L’articolo è tutto da leggere, ma se avete poco tempo e vi fidate della nostra scelta, vi segnaliamo un paio di paragrafi.
Lavorando sui nostri temi, abbiamo ‘incrociato’ Gianfranco Fini e la sua galassia culturale. Abbiamo condiviso le sue nette prese di posizione sui grandi temi dell’immigrazione e della cittadinanza, dei diritti civili e dei temi etici, del welfare e del mercato del lavoro. Tutto ciò non fa di Fini uno squisito liberale – non lo convinceremo certo sull’antiproibizionismo, per dirne una – ma di sicuro la sua ‘conversione’ (leggasi Giuliano Ferrara sull’edizione odierna de Il Foglio) lo rende l’aspirante leader del partito in cui vorremmo militare, un grande partito repubblicano. E non è poco, anzi è maledettamente tanto.
Ci piacerebbe che questo partito fosse il PdL. Continuiamo a sperare che lo possa essere, sebbene la realtà mostri troppo spesso un frustrante regresso del mainstream del partito su posizioni reazionarie e confessionali. Dall’elogio tremontiano del posto fisso alla banalizzazione del dibattito sui grandi temi etici, in una supposta contrapposizione tra ‘partito della vita’ (loro) e ‘partito della morte’ (noi), passando per la sostanziale cessione alla Lega Nord del dossier sulle politiche dell’integrazione. “Loro cavalcano la paura della gente, noi dovremmo combatterla con politiche di sicurezza e di welfare”, ha sintetizzato Della Vedova. E a me pare la migliore sintesi possibile di cosa dovrebbe fare – sul dossier del secolo, la questione migratoria – un grande partito repubblicano.
Quella Lega, nata con l’obiettivo di liberare il Nord dall’eccesso di statalismo ed assistenzialismo, oggi ha completamente derubricato dalla sua agenda la questione meridionale, preferendo dedicarsi a temi evidentemente più proficui dal punto di vista elettorale. Ma le condizioni sociali ed economiche del Sud restano la principale emergenza del Paese. Ed un grande partito repubblicano non può pensare di cavarsela con la Banca del Sud o con un federalismo annacquato.
(…) A due anni dalle elezioni parlamentari del 2008, resta inattuato il cuore del programma elettorale. Lo ricordava ieri sul Sole 24 Ore il senatore Giuseppe Valditara: la cedolare secca sugli affitti, la riduzione del carico fiscale, una robusta riduzione della spesa pubblica, l’abolizione delle province. Un grande partito repubblicano non può eludere il suo stesso programma, affidando al suo leader carismatico il compito di rilanciare costantemente una rivoluzione che non parte mai.
La rivoluzione non parte mai, ma qualche capro espiatorio su cui riversare il proprio amore lo si trova sempre, ad ogni legislatura. Ribadiamolo, è davvero incredibile da quanto tempo duri questo giochetto, ma continueremo ad astenerci dal balzare a conclusioni su parte dell’elettorato, magari come quelle a cui era giunto il premier, anni addietro.