E lo si sapeva, ma è sempre utile visualizzare il concetto, come fa Floyd Norris sul New York Times, comparando le ultime quattro riprese negli Stati Uniti.
L’attuale “recupero” mostra un andamento a forma di V (più o meno) solo per l’attività manifatturiera, mentre l’occupazione cresce poco e nulla, continuando a contrarsi negli epicentri della bolla appena scoppiata: finanza e costruzioni. Il lieve aumento di ore lavorate nel settore privato conferma che le aziende sono riluttanti ad assumere, e preferiscono spremere la forza lavoro che hanno in casa: questa è l’immagine speculare del grave fenomeno della disoccupazione di lungo termine, che sta piagando gli Usa.
Nel frattempo infuria il dibattito su quanta parte della disoccupazione sia ciclica anziché strutturale. Nel primo caso servirebbe più domanda aggregata, e si giustificherebbe un ulteriore intervento pubblico di stimolo; nel secondo caso no, essendo la disoccupazione frutto prevalente di skills mismatch come quelle causate ad esempio dal fatto che non si possono riconvertire muratori in infermieri, o anche dal fatto che essere “sott’acqua” col proprio mutuo (cioè avere una casa che vale meno del debito ipotecario acceso per acquistarla) impedisce alle persone di spostarsi in altra parte del paese, dove c’è lavoro. Ma l’evidenza aneddotica che nessun settore produttivo, negli Stati Uniti, si trova in condizioni di carenza di manodopera sembra suggerire che la componente strutturale non è dominante. Cliccare per ingrandire.