Nel tentativo, ormai tra il disperato ed il grottesco, di impedire una rivalutazione brutale dello yuan ma anche di contrastare un’inflazione rampante senza alzare troppo i tassi d’interesse ufficiali ed evitare in tal modo afflussi di denaro caldo che finirebbero col gettare ulteriore olio sulla fiamma, le autorità monetarie cinesi scoprono ogni giorno di più quanto il diavolo si nasconda tra le pieghe di una coperta ormai ridotta ad un fazzoletto.
Nei giorni scorsi il tasso interbancario è schizzato di quasi cinque punti percentuali, oltre il livello monstre del 7 per cento. Un segno che le banche sono alla disperata ricerca di liquidità , e che ha costretto la People’s Bank of China ad intervenire sui mercati con operazioni di reverse repo, nelle quali cioè la banca centrale fornisce fondi temporanei alle banche commerciali contro una garanzia rappresentata da titoli.
Tutto molto bello, se non fosse che da sempre la politica monetaria cinese tenta di sterilizzare l’eccesso di liquidità sul mercato attraverso emissioni di titoli pubblici. In questo specifico caso la banca centrale, che evidentemente ha finito col drenare troppa liquidità , è stata costretta a compiere un’operazione transitoria di segno opposto. Se il cambio dello yuan fosse lasciato libero di apprezzarsi fisiologicamente, l’eccesso di liquidità da sterilizzare si prosciugherebbe spontaneamente, sanando una catena di squilibri sempre più perniciosi. Ma è altresì vero che in quel caso l’export cinese entrerebbe in sofferenza, e con esso l’intero modello sociale, politico ed economico del paese.
Meglio continuare a tenere le dita nella diga, anche se tra poco serviranno delle mani di riserva. Sarà anche vero, come dice Hu Jintao, che il sistema monetario dollaro-centrico è una cosa del passato, ma questo reperto archeologico, nel quale i cinesi nuotano, li sta facendo affogare.