Secondo la celeberrima column di quei cattivoni del Financial Times, le banche italiane non stanno affatto bene. “L’economia del paese e le banche sono effettivamente mutualmente dipendenti”. E vabbé, vien da dirsi, dopo un commento del genere il Nobel può attendere. Ma c’è dell’altro: “Non sottovalutate le magagne specifiche al sistema bancario italiano”. E qui c’è più da indagare.
Scopriamo, ad esempio (non che non lo sapessimo) che le prime sei banche italiane detengono 200 miliardi di euro di titoli di stato italiani, pari al 13 per cento dello stock circolante. Circostanza positiva ove si guardi agli elementi di rischio sistemico, ma altrettanto negativa quando si ha di fronte un paese che non cresce più da almeno un quindicennio, e che sta quindi infettando le banche con la propria “malattia“.
Ma il problema non è solo la crescita zero, secondo la Lex, bensì anche le dimensioni medie di numerose banche italiane. Serve quindi un ulteriore consolidamento di sistema, che potrebbe essere accelerato dall’attuale crisi, che minaccia di avvolgere a breve il paese ed il suo sistema creditizio, che ha un second tier di banche (quelle di dimensioni medie, per l’appunto) in condizioni piuttosto sgarrupate, ma soprattutto con manager che hanno ormai perso il contatto con la realtà, mantenendolo solo con i propri bonus.
Con buona pace degli slogan tremontiani sul “banca piccola è bello”, perché vicina alle imprese ed alla ‘ggente, e può portar loro ciabatte e giornale. Quest’uomo ha intuizioni, visioni ed una capacità di leggere il futuro che ci lasciano da sempre interdetti. Ora serve solo che qualcuno punti la sveglia anche per altri personaggi che passano il tempo a definirsi “tremontiani per prassi e pensiero”, e che difatti non sono ancora riusciti a capire che diavolo sta accadendo, e poi potremo procedere.