Nuova giornata nera per l’indice azionario giapponese Nikkei, che oggi perde il 5,15 per cento, ed entra ufficialmente (per quello che può valere) in territorio di “correzione”, che il pragmatismo anglosassone identifica convenzionalmente con ribassi di almeno il 10 per cento e di meno del 20 per cento, che segna invece il territorio ribassista. Ovviamente, ciò non significa che il mercato non possa tornare a salire, forse già da domani, per i motivi più vari, alcuni dei quali del tutto privi di fondamento. Significa però che il problema, purtroppo per il governo giapponese, è che vi è una elevata probabilità che siamo già entrati nella fase in cui la volatilità si impossessa del giocattolo, sino a distruggerlo.
I tassi d’interesse giapponesi, pur se ancora estremamente bassi, sono in ascesa piuttosto disordinata, cioè volatile. E non è infatti un caso che il ministro delle Finanze giapponese passi ormai le giornate a tentare disperatamente di fare una sorta di fine tuning di dichiarazioni: il cambio va bene ma non deve troppo indebolirsi ma neppure rafforzarsi, i tassi d’interesse sono cresciuti ma le banche possono reggere perfettamente la pressione, e così via. Ormai il pover’uomo passa le giornate a lanciare proclami a rassicurazioni agli investitori ed agli agenti economici. Purtroppo per lui e per Shinzo Abe, la realtà è assai poco conciliante.
Non è infatti un caso che, a livello settoriale, ci siano settori del mercato azionario giapponese che stanno soffrendo più di altri, e questi settori sono ovviamente quelli più sensibili ai tassi d’interesse, cioè l’immobiliare ed il bancario. Per ora i giapponesi non stanno correndo a comprare azioni ed obbligazioni estere, ma fanno esattamente il contrario: rimpatriano investimenti. Ma esiste il rischio che la salita degli indici azionari, fatta di aria calda, produca un mezzo crack appena sarà chiaro che i fondamentali non sono come l’intendenza napoleonica e non è quindi detto che seguiranno. E quindi, che si fa? Si fa quello che si fa altrove: si puntella il mercato azionario, salito troppo. E come, quando la banca centrale ha già i tassi a zero e si sta comprando il 70 per cento delle emissioni di debito pubblico?
In prima battuta, si cerca qualche investitore domestico “di peso”, che possa rappresentare una robusta corrente di acquisti per la borsa. E quello pare che sia stato già individuato, come segnala oggi Reuters, nel fondo pensioni pubbliche del paese, il maggior fondo pensione del pianeta. Secondo l’attuale portafoglio-modello, il fondo può investire il 67 per cento in titoli di stato giapponesi, con un minimo al 59 per cento; l’11 per cento in azioni domestiche, con un massimo del 17 per cento; il 9 per cento in azioni estere con un massimo al 14 per cento, ed un 8 per cento in obbligazioni estere.
Il portafoglio, pur con margini intelligenti di aggiustamento, è quindi del tipo a proporzione costante, il che significa che opera in modo anticiclico rispetto al mercato: quando le azioni aumentano di prezzo, il loro peso percentuale sul portafoglio aumenta, e di conseguenza debbono essere vendute a prezzi crescenti. Quando i tassi giapponesi salgono, ed il prezzo dei titoli di stato diminuisce, il fondo compra, in tal modo operando controcorrente e stabilizzando il mercato. In sintesi, il fondo opera in modo da contrastare la volatilità, e non da amplificarla. Entro il mese prossimo lo statuto del fondo verrà modificato, per adeguarlo agli sviluppi del mercato. Resta da capire come.
Se l’allocazione centrale in investimento azionario venisse strutturalmente ampliata, il fondo potrebbe trovarsi a dover ridurre la quota in portafoglio di titoli di stato, fino al punto da diventare prociclico e magari contribuire al rialzo dei tassi, che a sua volta potrebbe destabilizzare le banche, che di titoli di stato sono strapiene. A quel punto che accadrà, che la Bank of Japan aumenterà gli acquisti di titoli di stato sino al punto da giungere a monetizzazione sistematica del deficit pubblico e per sostenerne i prezzi, evitando di mandare le banche in dissesto? Ma in quel caso i giapponesi continueranno a dare valore al proprio denaro o cominceranno a pensare di essere finiti in un gigantesco Monopoli con soldi di carta, comportandosi di conseguenza e scatenando inflazione vera, non certo al 2 per cento agognato da Abe?
Certo, in alternativa la Bank of Japan potrebbe mettersi a comprare azioni giapponesi ma la resa dei conti sarebbe solo rinviata, se i fondamentali del paese non seguissero la corsa a perdifiato delle quotazioni azionarie. Le bolle prima o poi scoppiano, meglio prima che poi, almeno si limitano i danni. Resta da capire se il Giappone ha passato il punto di non ritorno, ma questi movimenti di mercato sono e restano malsani.