Torniamo sulla trovata governativa della scorsa settimana, quella di coprire il negativo dato di occupazione del mese di ottobre, comunicato da Istat, con qualsivoglia “buona notizia”, anche costruita per l’occasione. L’occasione, come ricorderete, è stata fornita dalle anticipazioni sulle Comunicazioni obbligatorie di attivazioni e cessazioni di rapporti di lavoro dipendente e parasubordinato, il cui dato definitivo è stato pubblicato il 3 dicembre.
Che diceva il comunicato del Ministero del Lavoro, riguardo le anticipazioni? Una cosa di questo tipo:
«Un andamento positivo dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato, pari ad oltre 400 mila nuovi contratti, con un aumento del 7,1% rispetto ad un anno prima»
Di conseguenza,
«(…) questi dati, in continuità con quelli relativi al secondo trimestre, confermano che il cosiddetto decreto Poletti, convertito nella legge 78/2014, ha prodotto l’esito che era auspicabile, cioè un incremento dei contratti a tempo indeterminato e dei contratti di apprendistato»
Delle menzogne fattuali contenute in queste affermazioni abbiamo già detto e letto: l’aumento si è determinato nel secondo trimestre, quindi prima che il decreto Poletti vedesse la luce. Ma c’è dell’altro: l’andamento delle attivazioni a tempo indeterminato si confronta con un andamento delle cessazioni che è ancora negativo, producendo un saldo sfavorevole su base annua.
Osservate questo documento (grazie a Francesco Seghezzi per la segnalazione): Tabella 3, pagina 3. Il numero di nuove attivazioni a tempo indeterminato nel terzo trimestre 2014 è pari a 401.647. Ora andate alla tabella 7, pagina 7: il numero di cessazioni a tempo indeterminato nel trimestre è pari a 483.027. Quindi, con un complesso algoritmo, giungiamo ad inferire che la variazione netta di attivazioni su contratti a tempo indeterminato rispetto allo stesso trimestre del 2013 è negativa. Certo, abbiamo un incremento di attivazioni del 7,1% trimestrali, che si confronta con un calo di cessazioni dello 0,8%, sempre annuale. Ma questa è e resta la derivata seconda di un trend che vede il calo dei contratti a tempo indeterminato. Non solo, ma il saldo netto tra attivazioni e cessazioni sul tempo determinato è molto elevato. E del resto, dal prossimo anno, per i nuovi assunti i contratti a tempo indeterminato saranno tali solo di nome, quindi avremo un verosimile boom di “posti fissi”, come titoleranno i giornali più arguti.
Che si può quindi dire, per terminare questa ormai stucchevole disamina? Oltre al fatto che i rapporti a tempo indeterminato stanno continuando a calare, e che il decreto Poletti nulla ci azzecca, quello che balza agli occhi è che anche in questo caso il governo ha scelto di fornire un dato lordo, enfatizzandone l’aspetto positivo, e non il dato netto, che mostra cose completamente differenti. Se questa vi sembra di averla già sentita, non sbagliate: questa è la copia carbone metodologica del famoso taglio di tasse di 18 miliardi di euro, che è il dato lordo entro una manovra che è espansiva per molto meno o per nulla.
Quindi, diciamo che la cifra stilistico-numerica di questo governo è la seguente: numeri sottoposti a tortura sistematica; osservazione dei soli dati lordi e non di quelli netti, che sono la realtà ; sdoganamento a fini propagandistici di dati non destagionalizzati. A chi servono, queste porcherie da mariuoli della statistica? Non è dato sapere: forse ad indurre negli italiani un prorompente ottimismo che li induca a spendere e sconfiggere la paura. Solo che non funziona così, nella vita reale. Chiedere alla signora Kirchner, al signor Maduro e a tutti i governanti che nel corso della storia hanno cercato di costruirsi una realtà à la carte. Ma loro non avevano l’arma segreta del governo Renzi, a dirla tutta: gli editoriali della stampa amica.
- Letture complementari consigliate: Thomas Manfredi su Linkiesta, Andrea Garnero & Alessandro Giovannini su lavoce.info, menzione d’onore per l’enunciazione del “Principio di incompetenza” di Peter. O meglio, di Giuliano (Poletti).