C’è Pantalone, non soffrire più

Mentre prosegue il dibattito su eventuali garanzie pubbliche a favore di una bad bank che rimuova i crediti in sofferenza dai bilanci italiani (ultimo di una lunga serie di proiettili d’argento che estirperanno il Male dall’Italia), e malgrado il fatto che sia in corso una specie di ripresa che dovrebbe almeno disincagliare parte dei crediti deteriorati, rendendo (sulla carta) meno impellente l’esigenza di intervenire (a meno di altre ed assai meno confessabili motivazioni), vi segnaliamo cosa accade quando un’agenzia di rating vuole rendersi utile ma finisce con l’esibirsi in un singolare eccesso di zelo in cui le motivazioni divengono confessabili, o meglio emerge quello che tutto il mondo sa ma che non si può dire.

Oggi quindi Fitch illustra la propria posizione circa la necessità di una bad bank di “ispirazione” pubblica, che tuttavia non deve necessariamente attaccarsi alle tasche del contribuente. E quindi, che fare? La strada maestra, per noi, resta una ed una sola: allineare alla media degli altri paesi i tempi di recupero fiscale degli accantonamenti a perdite su crediti, e snellire i tempi della giustizia civile. Sono misure onerose, soprattutto la prima, ma almeno non sono aiuti di stato né sfacciati regali alle banche ed ai loro vertici, oligarchie locali incluse.

Invece, pare che il nostro esausto establishment abbia imboccato la strada della bad bank a spese di Pantalone a colpi di editoriali, considerazioni finali, recriminazioni contro “la burocrazia europea” ed identificazione di inquietanti “fallimenti del mercato”. In attesa di giungere alle denunce dell’ennesimo complotto tedesco per impedire alle nostre banche di far credito e risollevare il paese dalla sua miseranda condizione, è utile leggere le considerazioni odierne di Fitch, la terza sorellina del rating. La premessa è degna della buonanima del grande Max Catalano: se togliessimo dalla pancia delle banche italiane i crediti deteriorati, il loro rating se ne avvantaggerebbe. Soprattutto per le piccole banche, che sono quelle maggiormente impiombate e “sottoaccantonate”. Cioè che hanno messo da parte meno soldi per coprire tali perdite, mentre si esercitavano a magnificare il loro ruolo di baluardo del territorio.

Poiché le banalità (che in inglese si rende col bellissimo e plastico platitude) sono come le ciliegie, Fitch si premura di ricordarci che questo beneficio di rating avverrebbe solo in caso di rimozione massiva dei crediti ammalorati dai bilanci. Come non averci pensato prima? Epperò, prima che vi colga lo sconforto, sappiate che non dovrete necessariamente mettere mano al portafogli, cari contribuenti italiani. Infatti, secondo l’agenzia, lo stato

«[…] può sostenere altre misure come la concessione di garanzie pubbliche aggiuntive, ad esempio su portafogli cartolarizzati di crediti in sofferenza, purché ciò non violi le regole della Ue sugli aiuti di stato. Ciò potrebbe stimolare il mercato dei crediti in sofferenza»

E questo concetto è davvero bizzarro. Intanto, pare che gli analisti di Fitch pensino che la garanzia pubblica (che è una passività contingente, cioè non ancora tramutatasi in esborso di soldoni sonanti) sia un animale diverso dai soldoni sonanti medesimi, ai fini delle norme sugli aiuti di stato e -soprattutto- del buonsenso. Chissà chi mai li avrà convinti di ciò. Forse qualche banchiere? La realtà è che per stimolare un mercato, qualsiasi mercato, le garanzie pubbliche non servono. A meno che…

Fitch prosegue identificando il problema: le banche piccole. Che hanno evidentemente “sottoaccantonato” a rettifiche su crediti. Ecco che lo spirito di Catalano torna a dettare la linea a Fitch. Vado sempre pazzo per i piani ben riusciti:

«Se le sofferenze dovessero essere svalutate prima di essere trasferite fuori bilancio, i quozienti di capitale potrebbero soffrire perché le banche non stanno generando utili operativi sufficienti per assorbire accantonamenti aggiuntivi»

Ecco! Quindi, da tale sincera ammissione, consegue che i crediti in sofferenza devono essere spostati fuori bilancio al valore netto odierno. Ma ciò significa che, in molti casi, tale valore risulterebbe gonfiato. E che accadrebbe, dunque? Accadrebbe che l’acquirente (la bad bank pubblica) di tali crediti in sofferenza si caricherebbe sul groppone delle perdite già a tempo zero. Perdite che dovrebbero essere successivamente coperte attivando la garanzia pubblica, cioè trasformando la “promessa” in soldoni sonanti, quelli dei contribuenti. Che poi è quando gli analisti fanno oh.

Non se ne esce, quindi? Mah, pare difficile, in effetti. Però, aspetta: visto che siamo sempre in modalità “facciamo come”, perché non prendere esempio dalla Spagna, che ha risanato il proprio disastrato settore bancario mettendo sul groppone dei propri contribuenti una quarantina di miliardi di aiuti dei fondi europei EFSF e ESM? Beh, perché noi italiani non abbiamo bisogno di questi salvataggi, che diamine! E poi perché non vogliamo scomodare i contribuenti né alzare il debito pubblico. Quindi, è per questo che stiamo disperatamente cercando di creare una bad bank con soldi pubblici. Ah no, aspetta…

E poi, siam mica gli spagnoli:

«Quando le banche spagnole in dissesto hanno trasferito alla SAREB i crediti in sofferenza, ad esse è stato imposto di svalutarli preventivamente, dando origine a pesanti perdite. I prestiti della SAREB [la bad bank mista pubblico-privata che ha comprato i bad loans di quattro banche nazionalizzate, ndPh.] erano garantiti da proprietà immobiliari, il che, in teoria, semplifica la valutazione, ma questo non è il caso dell’Italia, dove i distressed loans sono in larga misura esposizioni alle piccole e medie imprese»

Quindi si torna al via! Se i debitori sono falliti, ed i prestiti non erano assistiti da garanzie reali o personali, cosa pensate di recuperare? E cosa avete iscritto a bilancio, oggi, al netto delle rettifiche? Mistero. Però allegri, ha detto Fitch che bastano garanzie pubbliche, senza mettere soldi dei contribuenti. Basta una garanzia pubblica e la pillola va giù, tutto brillerà di più! E ora, avanti col prossimo editoriale contro i burocrati Ue.

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