Oggi il governatore del Veneto, Luca Zaia, ha espresso tutta la sua preoccupazione per il futuro del credito nella sua regione. Ne ha motivo, vista la periclitante condizione di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca. È di oggi l’accorato appello di Zaia:
«Spero che queste due banche [Veneto Banca e Popolare Vicenza, ndPh.] restino con dei capitali e dei riferimenti stabili in Veneto ma non solo per un fatto identitario ma anche per un fatto di economia: abbiamo 600 mila partite Iva, famiglie e imprese che hanno bisogno di un istituto di riferimento» (Ansa, 8 giugno 2016)
Ma che significa “istituto di riferimento”? Forse Zaia pensa che, se in Veneto non agisse una banca con capitali veneti, i residenti non vedrebbero più prestiti? Ebbene sì, il rischio esiste.
Siamo di fronte al tentativo di assoggettare e sottomettere l’orgoglioso popolo veneto: la possibilità che a partite Iva, famiglie e imprese venete vengano negati prestiti da parte di banche “foreste”, persino nell’ipotesi in cui la richiesta di credito abbia merito e potenziale di redditività è maledettamente tangibile, in questo criminale disegno che viene da fuori. Infatti, come noto, già oggi le filiali di banche non etnicamente autoctone operanti in Veneto attirano gli indigeni a diventare loro clienti (spesso usando agenti perfettamente in grado di riprodurre l’accento locale) allettandoli con perline colorate, calendari ed agendine, per poi lasciarli in condizioni di grave deprivazione. Un odioso colonialismo contro la Nazione Veneta, ora che due tra i suoi più operosi figli, Gianni Zonin e Vincenzo Consoli, sono stati estromessi dalle rispettive banche, che gestivano in modo mirabile secondo i sacri principi dell’identità territoriale, etnica e culturale del popolo veneto.
A nulla sono sinora valsi gli allarmi lanciati negli anni da Zaia sul tentativo di stupro etnico ai danni del suo popolo. Nemo propheta in patria e historia magistra vitae, del resto. Già molti mesi addietro il governatore lamentava il golpe praticato dall’odioso mercato:
Il governo ha obbligato le due banche popolari non quotate coinvolte nella riforma del settore, la Popolare di Vicenza e Veneto Banca, “a giocare in Borsa a carte scoperte e il risultato sarà un massacro in quotazione”. Lo ha dichiarato a Radiocor il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia. “A pagare – ha aggiunto – saranno i soci, quasi sempre piccoli risparmiatori, e le imprese clienti”. “Abbiamo capito che cose fuori dal mercato non possono più esistere – ha sottolineato Zaia – ma al governo si può rimproverare che il soft landing non c’è stato: ha preso le banche e le ha buttate sul mercato, regalandole agli altri” (Radicor, 30 settembre 2015)
Quanto drammaticamente vero. L’incredibile pretesa di voler far “giocare in borsa a carte scoperte” le due popolari è alla base di tutti i disastri successivi. Perché l’odioso mercato è l’instrumentum regni dell’Impero Centralista. Certo, se si fosse evitato di far giocare “a carte scoperte” le due popolari venete, tutelando la privacy dei loro gruppi dirigenti, come del resto accaduto per lunghi anni, ora non saremmo in questa miseranda condizione. E del resto Zaia era talmente avvertito dei rischi che le “carte scoperte” avrebbero procurato ai suoi due gioielli autoctoni, che già la scorsa estate aveva lanciato l’idea di far entrare Veneto Sviluppo, istituto pubblico la cui denominazione dovrebbe essere sufficientemente autoesplicativa, nel capitale delle due quotande, per ancorarne l’identità e la purezza etnica.
Il governatore è del resto da sempre in prima fila a difendere gli interessi del territorio, ed ha una non comune capacità di smascherare anche le trame più diabolicamente sofisticate. Oggi, ad esempio, Zaia afferma che
«Banca d’Italia doveva controllare, è la realtà che garantisce il risparmiatore, e in alcuni casi qualche dubbio inquietante ci viene» (Ansa, 18 dicembre 2015)
Allo stesso modo in cui ieri denunciava il neocolonialismo centralista romano:
Il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, intervenendo oggi a margine dell’assemblea di Veneto Banca, ha detto di ritenere che, in merito al commissariamento di tre istituti di credito del circuito Bcc del Veneto, Bankitalia abbia operato “con eccesso di zelo”. “Penso che noi non abbiamo Monte Paschi. Vedo – ha aggiunto – che da noi non si è avuto timore nell’intervenire anche di peso, con commissariamenti o quant’altro” (Ansa, 27 aprile 2013)
Dal complotto per omissione a quello per commissione, nulla è mai sfuggito all’instancabile patriota veneto. Negli anni coerente:
“Le parole non sono bastate e quindi dobbiamo puntare alla governance”. Lo ha detto il presidente della Regione Veneto Luca Zaia a a proposito delle fondazioni bancarie, e in particolare della Fondazione Cassamarca di Treviso. “Quando ci saranno le elezioni metteremo persone più vicine al popolo – ha affermato a Cortina D’Ampezzo – Se non mettiamo nella governance i nostri amici lì ci vanno quelli degli altri e questo è pericoloso. Non sono dichiarazioni di guerra – ha sottolineato Zaia – ma uno scambio di prigionieri sì” (Ansa, 29 agosto 2010)
Ma la Storia la scrivono i vincitori, come tristemente noto. Ecco perché oggi abbiamo deciso di consegnare all’effimera posterità di queste note digitali la figura di Luca Zaia: il patriota che aveva da subito intuito il disegno per relegare i veneti in una riserva. Possa lo spirito di Toro Seduto vegliare su di lui.