Oggi abbiamo appreso che chi lavora per un partito politico è meritevole di una rete di protezione maggiore rispetto agli sfigati che lavorano per “un’azienda che produce pentole e ad un certo punto chiude”. Autore di questa linea guida molto di sinistra è il leggendario ex tesoriere dei Ds, Ugo Sposetti, uno dei veri maghi della finanza italiana.
Sposetti è un mago della finanza perché è l’autore della geniale costellazione di 56 fondazioni a cui è stato attribuito il patrimonio immobiliare dei Democratici di sinistra, la vera cassaforte che ancora oggi frena e letteralmente ipoteca ogni ipotesi di scissione dal Pd. Sposetti è da sempre instancabile sostenitore del finanziamento pubblico dei partiti, un principio che ha più di una ragion d’essere ma che, portato alle abituali ed assai italiane estreme conseguenze, ha prodotto autentici mostri che hanno nutrito la feroce avversione popolare verso il sistema dei partiti.
In questo articolo di Sergio Rizzo trovate una sintesi piuttosto esaustiva della vicenda. Ricordate anche che il “motore primo” di tutto è stata la sempiterna crisi de l’Unità, che è ormai parte del paesaggio italiano (ma non è colpa dell’euro, mi raccomando) e che in lunghi anni ha generato debiti monstre, ripianati in parte con l’aberrante espansione del finanziamento pubblico, ad esempio quando fu deciso che ai partiti spettassero “rimborsi elettorali” per l’intera durata della legislatura, anche se la medesima si fosse interrotta anticipatamente. L’apoteosi di questa proteiforme tassa sugli italiani si è avuta quando le banche creditrici de l’Unità hanno ottenuto decreti ingiuntivi contro la presidenza del consiglio dei ministri per 95 milioni, in virtù di una legge del 1998 (Prodi) che apponeva la garanzia pubblica ai debiti dei giornali di partito. Il patrimonio delle fondazioni Ds risultava non aggredibile da parte dei creditori del giornale.
Veniamo ad oggi. Sposetti ha presentato un emendamento al Milleproroghe (e dove, sennò?) che proroga di altri 12 mesi la cassa integrazione per i dipendenti dei partiti defunti, previsto originariamente nella legge di riforma del finanziamento pubblico ai partiti, approvata nel 2014. L’emendamento è passato ad ampia maggioranza in Commissione Affari Costituzionali al Senato. Non ci sono limiti numerici agli organici di partito per accedere al beneficio, a differenza di quanto accade per le imprese. Sposetti avrebbe giustificato la misura, che costerà un massimo di poco più di 11 milioni di euro, sostenendo che
«Il Jobs Act ha escluso il rinnovo della cigs per chi non svolge più attività politica, come se un partito fosse un’azienda che fa pentole e a un certo punto chiude: un’interpretazione forzata»
Ora, va benissimo l’omogeneizzazione del trattamento tra lavoratori di comparti differenti, va un po’ meno bene questa arrogante superiorità “culturale” (o alternativamente, questo palese disprezzo) verso chi lavora in aziende manifatturiere, e magari produce anche qualcosa di tangibile per il paese. Ma non vorremmo cadere nell’estremo opposto di altrettanto populistico disprezzo verso il personale dei partiti. Soprattutto considerando che la notizia dell’emendamento Sposetti giunge in contemporanea a quella che ci informa che nel 2017 non sarà prorogata l’indennità di disoccupazione per i collaboratori (Dis-coll), introdotta in via sperimentale con il Jobs Act, per dare un sostegno al reddito di co.co.co e co.co.pro rimasti disoccupati.
Difficile resistere alla tentazione populistica di unire i puntini e trarre la conclusione che i dipendenti dei partiti defunti sono meritevoli di maggior tutela di altri lavoratori, che operano in contesti più “tangibili”. Per tutto il resto, c’è l’uomo di sinistra Ugo Sposetti.
Aggiornamento – Il Ministero del Lavoro precisa che arriverà la proroga dell’indennità Dis-coll, in attesa di una nuova norma strutturale. E tutto senza essere dipendenti di partiti politici defunti. Facciamo progressi.