C’è un paese che, sempre più spesso, ignora ogni precetto basilare di buonsenso e razionalità. È un paese che ignora il concetto di stop loss, che poi sarebbe lo “staccare la spina” per smettere di sanguinare, e così facendo spesso si imbarca in devastanti moltiplicazioni di danno e perdite. È un paese che si dedica all’accanimento terapeutico come forse mai altri nella storia. Un paese che vorrebbe fermare il mondo per scenderne, e spesso anche fermare il tempo. Un paese che ormai da tempo immemore si sceglie leader con una speciale attitudine a produrre esiti gravemente disfunzionali. L’ultimo episodio, ma solo in ordine di tempo, lo abbiamo letto stamane sulle agenzie.
Leggiamo da Radiocor:
«UniCredit ha svalutato di quasi l’80% il proprio investimento nel fondo Atlante. E’ quanto emerge dal bilancio consolidato 2016 dell’istituto di piazza Gae Aulenti. Al 31 dicembre, infatti, UniCredit deteneva 845 quote del fondo (su 4.249 totali), per un valore di bilancio di 139 milioni, pari ai 686 milioni versati meno la svalutazione da 547 milioni (pari, per la precisione, a una rettifica di valore del 79,7%). L’impegno residuo per successivi versamenti al fondo è di 159 milioni (l’impegno totale era per 845 milioni). La partecipazione in Atlante è classificata tra le attività finanziarie disponibili per la vendita. Quanto ad Atlante II, UniCredit ha sottoscritto 155 quote per un impegno complessivo di 155 milioni di cui, al 31 dicembre 2016, risultano versati 1,1 milioni»
Una vita breve e grama, quella di Atlante. Fu lanciato, un anno addietro, con la fanfara dello strumento che avrebbe dovuto nientemeno che creare un mercato italiano delle sofferenze, scordando però che quel mercato esiste da tempo. Doveva servire ad impedire la risoluzione di Veneto Banca e Popolare di Vicenza ma soprattutto evitare che Unicredit, che doveva garantire l’aumento di Vicenza, finisse a gambe all’aria (anche se Federico Ghizzoni ha sempre detto che il rischio non esisteva). Per evitare la destabilizzazione della nostra unica banca globale sistemica, si è scelto di diffondere il contagio all’intero sistema bancario italiano ed alle fondazioni bancarie, che erano faticosamente riuscite a diversificare il proprio portafoglio d’investimento, che spesso conteneva la sola banca conferitaria, e che in Atlante hanno investito. Ora le fondazioni, nella persona del loro Grande Vecchio, Giuseppe Guzzetti, stanno disperatamente cercando di negare la realtà, e rifiutano di valorizzare la quota di Atlante a quello che varrebbe, cioè pressoché zero. Quanto sono lontani i tempi di Enrico Cuccia, che parava il fondoschiena al nostro capitalismo con le pezze al culo (oltre che alla politica), senza scavare fosse comuni ed infettare tutto il paese. Ma era differente il contesto esterno. Quando l’habitat evolve, alcune specie soccombono.
Il vostro umile titolare, dall’inizio di questa vicenda, ha segnalato il rischio di esiti distruttivi (prendendosi del nichilista, disfattista, gufo e quant’altro). Sulle fondazioni in Atlante, ad esempio, scrivevo:
Le fondazioni bancarie, a cui per lustri è stato detto che dovevano liberarsi delle partecipazioni bancarie e diversificare il portafoglio, rischiano di (ri)trovarsi a possedere un portafoglio di titoli bancari. Il tempo dirà se questa “audace” (o disperata) operazione di ingegneria finanziaria di sistema contribuirà a risolvere il problema o accelererà l’implosione del medesimo. Resta il punto di base: il tempo delle scorciatoie è terminato, in Italia. E non è colpa dei tedeschi o di Bruxelles.
Era il 12 aprile di un anno fa. Poi il governo Renzi decise di arruolare a forza le Casse professionali in Atlante, e qualcuno stava anche per cascarci. Vero, dottor Oliveti? Magari barattando questa cravatta di cemento armato con maggiori libertà “privatistiche” per le Casse. E anche qui abbiamo segnalato i rischi letali. Ci piace pensare di aver unito la nostra voce a quelle di chi ha invocato il raziocinio su forme di miopia che, ogni volta che si tratta di questo paese, divengono cecità conclamata. In attesa di sapere che faranno a Poste Italiane con l’investimento di Poste Vita (e quella sarà un’emicrania fortissima, vedrete), ricordiamo il “motore primo” di questo contagio che passerà alla storia come la maggior distruzione di valore “a leva” nella storia italiana: aver cercato di negare la realtà, e tentato di mettere più toppe a situazioni che non erano sostenibili, ad esempio con la finzione delle quattro banche poi risolte, che si sono trascinate per due anni prima della risoluzione, ché tanto la colpa era della Ue, come sempre, che attentava all’articolo 47 della Costituzione più bella del mondo, in un paese di oligarchi e truffatori, con milioni ansiosi di farsi truffare. Finì ad inventarsi prezzi palesemente irrealistici per le sofferenze, o argomentare di improbabili “fallimenti di mercato“, o accusare la Germania e le sue banche. Tutto, pur di evitare la realtà.
Quello di Atlante non è il primo caso di amplificazione del danno. Tutti abbiamo sotto gli occhi l’infinita horror story di Alitalia, ad esempio. Eppure, nei giorni scorsi siamo riusciti a leggere sui giornali che, se Alitalia fallisse, il costo per la collettività sarebbe elevatissimo, in termini di sussidi di disoccupazione. Dopo almeno vent’anni ed una cornucopia di miliardi di soldi pubblici inceneriti, c’è chi riesce ad esprimersi in questi termini, pensate. E il prossimo passo rischia di essere, ancora una volta, il destino delle due banche venete. Non siamo in grado, come collettività nazionale, di fare uno straccio di calcolo di convenienza tra la continuità e lo staccare la spina, lo stop loss, appunto. Viviamo immersi in una realtà virtuale che non ha costi opportunità ma solo espedienti per passare il cerino ad altri, dalle imprese pubbliche al governo del paese. Tutto si riconduce a spazzare la polvere radioattiva sotto il tappeto, cercando un capro espiatorio o qualcuno da incolpare, fuori dai confini.
Un paese che cerca l’ennesima scappatoia mentre sta segnando inesorabilmente la propria condanna ed il proprio destino: quello di una scarnificazione di tipo greco, per reiterata negazione della realtà. Ma sarà colpa dell’euro o dell’eccesso di liberismo, sicuramente.