Guzzetti e il Level 3 de noantri

Giorni addietro il presidente di Acri e Fondazione Cariplo, Giuseppe Guzzetti, ha fatto conoscere il suo pensiero riguardo alla valutazione della quota di Atlante posseduta dalle fondazioni, che nell’opera hanno messo 536 milioni. Come ampiamente anticipato dallo stesso Guzzetti nelle ultime settimane, la quota non si svaluta. E che caspita.

Guzzetti ha rafforzato il concetto lo scorso fine settimana a Pistoia, al termine di un convegno su Fondazioni e sviluppo economico dei territori:

«Non vogliamo perdere neppure un euro, e quindi non abbiamo alcuna intenzione di svalutare la partecipazione nel fondo Atlante, in cui abbiamo investito 536 milioni. Non siamo quotati e non siamo tenuti in nessun modo a svalutare l’investimento. Fino a quando Atlante non avrà un bilancio dal quale emerge la svalutazione, non siamo tenuti a fare nulla. E anche in quel caso, valuteremo, perché non vogliamo perdere neppure un euro»

La valutazione indipendente compiuta da Deloitte indica una svalutazione del 24% di Atlante, dopo neppure un esercizio di operatività. Onore al merito della caparbietà di Guzzetti, che si dimostra vero investitore di lungo periodo, non affetto dal pernicioso short-termismo. Il problema è che la caparbietà, nelle valutazioni d’impresa, rischia di sconfinare nella negazione della realtà. Non ribadiremo che con Atlante è stato creato un veicolo di potente contagio al sistema bancario italiano: chi legge questi pixel lo sa dal primo momento, e dirlo ora per la prima volta avrebbe assai poco senso. Su questa traiettoria, più prima che poi, anche ad Atlante servirà un salvataggio.

Malgrado ciò, c’è ancora chi pensa di arruolare il fondo per rimuovere le sofferenze da questa o quella banca. Come si legge oggi sul Messaggero, dopo la grande “operazione di sistema”, che ha portato Ubi a prendersi tre delle quattro not-so-good-bank ma solo dopo che le medesime sono state ricapitalizzate e depurate di ulteriori sofferenze, oggi apprendiamo che Credit Agricole Cariparma potrebbe essere interessato alla Cassa di Risparmio di Cesena, controllata dal Fondo interbancario di tutela dei depositi, che l’ha ricapitalizzata per 280 milioni, ed alla Cassa di Risparmio di Rimini, che attende il salvataggio ed è controllata al 54% dall’omonima fondazione, che è ormai prossima a perdere pure gli occhi che oggi utilizza per piangere. In quest’ultimo caso, pare che i francesi vorrebbero beneficiare dello stesso schema di Ubi: offrono 150-170 milioni per le due casse romagnole ma chiedono preliminarmente una ricapitalizzazione di Rimini per altrettanti, oltre alla cessione di crediti deteriorati di quest’ultima per 1,5 miliardi lordi. Immancabile l’ipotesi che le sofferenze possano andare ad Atlante, a cui, ad intervalli regolari, tutti vogliono appioppare crediti marci a prezzi d’affezione. Nel frattempo, l’ultima perizia sulla CR Cesena ne avrebbe abbattuto il valore del 25%, scrive oggi il Messaggero.

Ricordate l’elevata qualità del dibattito pubblico, quando la Commissione Ue negò il salvataggio per mano del Fondo interbancario delle quattro banche decotte? Sdegno, editoriali sulle banche tedesche, per le quali Renzi si diceva pubblicamente “preoccupato”, con sovrano sprezzo del ridicolo. “Noi potremmo intervenire ma non ce lo permettono, maestraaa!”, strepitavano i vertici del Fondo interbancario. Quello che è accaduto dopo, è storia: la struttura consortile è stata creata, ma sotto il cappello del Fondo di risoluzione previsto dalla normativa BRRD, e sono stati caramellati a vario titolo, direttamente ed indirettamente, circa sette miliardi di euro per salvare banche che rappresentavano l’1% degli attivi del sistema. Poi furono “salvate” (si fa per dire) le due venete con l’intervento di Atlante, a sua volta immolatosi; ed ora siamo prossimi a replicare l’operazione con le due romagnole. Voragini radioattive che testimoniano una distruzione di valore e risorse senza precedenti nella storia economica italiana. Per tacere di MPS, che è tutto fuorché “salvata”, e di altra banca regionale che vacilla pericolosamente dalle parti della Liguria ma il cui azionista di controllo ritiene di non dover procedere a ricapitalizzazione preferendo tentare di farsi dare miliardi dagli ex amministratori (vi piace questo understatement?).

Che fare, in un simile quadro di desolazione? Tenere fermo il prezzo di carico della partecipazione delle fondazioni in Atlante, ovviamente. Tanto non siamo quotati, che ci frega. E partecipare ad incontri pubblici in cui magnificare la propria attività filantropica sul territorio. Negare sempre, negare tutto, e puntare sull’inconsapevolezza, come Guzzetti fece in occasione dello scoppio della crisi di MPS, quando si accorse che la fondazione senese era fuorilegge da quasi vent’anni. Una vera storia italiana. L’importante è invocare la maestra per gli attivi Level 3 delle banche tedesche e francesi, argomentando che sarebbero valorizzati in modo fantasioso (mark to fantasy). E senza accorgersi che in Italia abbiamo dei Level 3 de noantri che sono inequivocabilmente tossici, senza neppure il beneficio del dubbio.

Aggiornamento del 3 marzo – Anche Carife viene collocata (a BPER) secondo il “modello-Ubi”: ricapitalizzazione per mano del Fondo di Risoluzione, deconsolidamento dei crediti deteriorati, che saranno ceduti indovinate a chi? Il salasso è compiuto, andate in pace. Almeno per qualche settimana.

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