Quella di ieri è stata una delle giornate in cui è possibile toccare con mano il danno che l’epidemia di stupidità che avvolge questo paese sta provocando su menti ormai atrofizzate dal cinismo e del pensiero magico. L’occasione è stata la pubblicazione del rapporto Istat su occupati e disoccupati di febbraio, dal quale si evince una riduzione del tasso di disoccupazione, passato da 11,8% a 11,5%. A riprova del fatto che siamo sempre degli inguaribili ottimisti, ci eravamo illusi che anni di “analisi” dei dati non fossero trascorsi invano, almeno quando si devono valutare le determinanti della riduzione del tasso di disoccupazione. Ovviamente ci sbagliavamo.
La lettura prevalente è stata “buone notizie, cala la disoccupazione”, in particolare quella della coorte 15-24 anni, di ben 1,7%. Ora, di solito, quando la disoccupazione flette, si va a guardare se tale dato è frutto di un aumento di inattivi, per assicurarsi che il dato sia effettivamente positivo. A febbraio non è andata benissimo, visto che alla flessione di 83 mila unità nel numero dei disoccupati fa da contraltare un aumento di 51 mila tra gli inattivi, che va in controtendenza rispetto alla robusta riduzione dell’ultimo anno. Il dato dei giovani tra 15 e 24 anni è ancora più fuorviante, se possibile:
I numeri di questa coorte anagrafica sono particolarmente sfiziosi, ad uso di analfabeti numerici ed economici pic.twitter.com/xmkojFP6sz
— Mario Seminerio (@Phastidio) April 3, 2017
Di conseguenza, il calo mensile dell’1,7% del tasso di disoccupazione non ha rilevanza alcuna. Se poi estendiamo lo sguardo all’ultimo trimestre, scopriamo numeri ancor più interessanti, che ci portano ad una domanda molto scomoda:
Ultimi 3 mesi +86mila giovani inattivi e -86mila giovani disocc. Hanno ricominciato a studiare a febbraio o hanno smesso di cercare lavoro? pic.twitter.com/mZGY8qBOTE
— Francesco Seghezzi (@francescoseghez) April 3, 2017
Malgrado ciò, siamo riusciti a leggere una perla del genere:
Oggi leggo: #Istat, scende disoccupazione a feb (-0,3 punti), e per i 15-24enni (-1,7 punti). È il #jobsact che funziona
— Gennaro Migliore (@gennaromigliore) April 3, 2017
Ma è Migliore, diranno i miei piccoli amici: perché perdere tempo a commentarlo? Forse avete ragione, ma se arriviamo allo snobismo di non confutare le assurdità quando le medesime si manifestano, lasciamo il campo a fake news propalate da fake politician. In attesa che il deputato Migliore prenda coscienza che il Jobs Act non determina la ripresa dello studio né combatte la disfunzione erettile né concima neuroni e sinapsi (forse avviene il contrario, a giudicare da queste prese di posizione), duole constatare che pure il premier Paolo Gentiloni, persona sobria e posata, non ha resistito al richiamo del renzismo pataccaro:
#Istat Cala la disoccupazione, anche tra i giovani. L'impegno per le riforme ottiene risultati. E continua
— Paolo Gentiloni (@PaoloGentiloni) April 3, 2017
Perché fate così? Siete davvero così ignoranti oppure è solo cinismo? Altra leggenda metropolitana è quella secondo cui in questo paese sarebbe in atto una imponente creazione di occupazione. “Un milione di posti di lavoro in tre anni, venghino!”, intonano in coro i nostri venditori di pentole. Se non fosse che si tratta in misura molto rilevante di una illusione ottico-demografica. Che avevamo tentato di spiegare qui. Si tratta di una espansione della coorte anagrafica over 50, un cambio di forma della “clessidra demografica” del nostro paese. Ieri Istat lo ha spiegato molto bene, calcolando le variazioni dei tassi di occupazione per coorte anagrafica depurando i dati dall’effetto demografico. Così facendo, le notizie migliorano ma si scopre anche altro:
«Al netto dell’effetto della componente demografica, l’occupazione è in crescita su base annua in tutte le classi di età: +0,8% tra i 15-24enni, +1,0% tra i 35-49enni e +3,0% tra i 50-64enni. Si conferma quindi il ruolo predominante degli ultracinquantenni nello spiegare la crescita occupazionale, anche per effetto dell’aumento dell’età pensionabile. Il calo della popolazione tra 15 e 49 anni influisce in modo decisivo sulla variazione dell’occupazione nei dodici mesi in questa classe di età, rendendola nulla tra i 15-34enni e negativa tra i 35-49enni. Al contrario la crescita della popolazione degli ultracinquantenni amplifica la crescita occupazionale, con un conseguente aumento del divario generazionale»
Comprendete? I cambiamenti demografici stanno spingendo la crescita dell’occupazione. Assieme ad essi opera però il trattenimento sul lavoro dei seniores, per effetto della legge Fornero:
«[…] si conferma il ruolo predominante degli ultracinquantenni nello spiegare la crescita occupazionale, anche per effetto dell’aumento dell’età pensionabile»
Non è difficile, no? Non solo: l’aumento dell’età pensionabile spiega in misura importante il corrispondente calo del tasso di inattività, che ha tra le proprie componenti i pensionati. Anche qui, è la metafora della vasca. Se poi vi prendeste la briga di leggere la nota metodologica Istat, in calce al report mensile, potreste essere illuminati, o più propriamente folgorati, da questo passaggio:
«La dinamica della partecipazione al mercato del lavoro per classi di età risente dei mutamenti demografici che negli anni recenti evidenziano un progressivo invecchiamento della popolazione. In particolare, si osserva il calo della popolazione tra 15 e 49 anni (negli ultimi mesi mediamente circa -1,5% annuo, pari a quasi 400 mila persone) determinato dalla fuoriuscita dalla classe di età delle folte generazioni dei 49enni non compensata dall’ingresso dei 15enni. Simultaneamente si rileva la crescita della popolazione nella classe 50-64 anni (mediamente +1,8% annuo, pari a oltre 200 mila persone)»
Che accade alle “folte generazioni dei 49enni”, al trascorrere del tempo? Una cosa che vi stupirà: che, se non muoiono, vanno ad infoltire la coorte degli over 50. A questo punto, è sufficiente che queste persone mantengano il lavoro, ed ecco che si determina il “boom” di occupazione degli over 50. Questo vuol quindi dire che gli over 50 stanno trovando lavoro con maggiore facilità? Ma quando mai! Vuol solo dire che abbiamo il rigonfiamento di una coorte anagrafica, quella più “anziana”. Non c’è alcun exploit di assunzioni di over 50. Tutto qui. Se le cose stanno in questi termini, non c’è alcun boom di occupazione ma solo un effetto demografico indotto da invecchiamento della popolazione e -soprattutto- innalzamento dell’età pensionabile, che da solo determina l’aumento dello stock di occupati ed il simmetrico calo della componente degli inattivi riconducibile ai pensionati.
Eppure, tocca ancora leggere cose di questo tipo:
"Crescono occupati over 50, che ritrovano lavoro dopo la crisi". Secondo Alberto Orioli, vd del Sole. Ho qualche dubbio.
— Mario Seminerio (@Phastidio) April 3, 2017
Che, vista la competenza e preparazione della fonte, è certamente più inquietante (e sconcertante) di concetti analoghi, veicolati tuttavia da chi ha scelto da tempo di fare intrattenimento e colore, più che informazione:
Fratini (Tg La7): " E' vero che in questo paese trovano più facilmente lavoro i 'vecchi'? Si"
Asteroide, colpisci in mezzo agli occhi.— Mario Seminerio (@Phastidio) April 3, 2017
In sintesi, siamo di fronte ad un’allucinazione collettiva. Il quesito resta il solito: ci sono o ci fanno? Se volete avere riscontro indiretto del fatto che non è in corso alcun boom di assunzioni di over 50, usate un test indiretto. Andate all’Osservatorio Inps sul precariato e verificate, per ogni mese, quante sono le attivazioni a tempo indeterminato per la fascia over 50 (qui i dati di gennaio, tabella 9), rispetto alle altre coorti anagrafiche. Gli over 50 sono il 15,7% del totale.
Da ultimo, una considerazione statistica. Istat spiega come si giunge alla stima di occupati e disoccupati. Si prende un campione di intervistati, ovviamente. Il risultato è una stima, ripetiamolo, non un valore puntuale. Ciò significa che il vero parametro dell’intera popolazione (non conoscibile) si troverà, con una data probabilità, entro un limite inferiore e superiore. Nel caso delle stime Istat, partendo dal valore puntuale non destagionalizzato, otteniamo che possiamo essere fiduciosi al 95% che il vero tasso di disoccupazione si troverà da qualche parte tra 11,4% e 12,2%. Rilassatevi, quindi: non parliamo della costante di gravitazione universale, quando parliamo del tasso di disoccupazione (e del numero di occupati):
Intervallo di confidenza al 95% della stima campionaria Istat. Osservare i limiti inferiore e superiore, per gli amanti dei valori puntuali pic.twitter.com/WcMF13FxkY
— Mario Seminerio (@Phastidio) April 3, 2017
Tutto ciò premesso, la situazione continua ad essere grave ma non seria. Sarà il Jobs Act, disciolto negli acquedotti.