Riavvolgere il nastro, scavare più a fondo

Notiziola domenicale sul Corriere, di quelle che non sai mai se sono state fatte scivolare nel giornale perché serviva spazio da riempire o se sono lo scoop dell’anno. Come che sia, se vera, sarebbe il segno che il paese sta procedendo a tuta randa in direzione ostinata e contraria ma sempre coerente con quella che pare una missione: gli scogli.

Si parte dalla constatazione che le ore di cassa integrazione sono pressoché crollate, e si sospetta che ciò possa dipendere non solo dalla “vibrante” ripresa in atto in questo paese ma anche dalle nuove norme del Jobs Act, che ha accorciato la durata e resa meno semplice la concessione della cassa. Poiché siamo all’ultimo miglio prima delle elezioni, come del resto siamo sempre, ogni anno, pare (da sottolineare) che governo e maggioranza stiano pensando a reintrodurre la cassa integrazione in deroga. Oltre a resuscitare la mobilità, che da inizio anno non esiste più per effetto della riforma Fornero del 2012. Tutto, ça va sans dire, con valutazioni caso per caso.

Ora, dove starebbe il problema? Nel fatto che tra le poche cose ben fatte del Jobs Act vi è stato il cambio di filosofia dalla protezione del posto di lavoro a quella del lavoratore. Certo, è principio astratto e gli strumenti messi a supporto di tale principio, prima tra tutte la panoplia delle politiche attive, si stanno dimostrando un morticino. I problemi sono molteplici e, spesso, drammatici: ad esempio, la disoccupazione degli over 50 (ma spesso anche degli over 40). E le risorse che sono scarse in un modo angosciante. Risposte al margine reattive e barocche come l’Ape Social non sembrano in grado di funzionare. E tuttavia la cassa integrazione, si segnala maliziosamente nel pezzo del Corriere, occulterebbe la disoccupazione nelle statistiche ufficiali. Questo potrebbe essere un richiamo irresistibile, per i nostri treccartari.

Ma la risposta non risiede comunque nel tentativo di tenere in vita aziende già morte, magari per scollinare queste maledette elezioni che sono la Fortezza Bastiani di una classe politica fallita. Se a questo aggiungiamo la reiterata e quasi disperata richiesta di valenti economisti, che la sorte ha reso consiglieri economici della presidenza del consiglio, di ridurre in modo permanente il cuneo fiscale dopo i 20 miliardi gettati nello sciacquone negli ultimi tre anni, si uniscano i puntini e si colga la gravità della situazione.

Pagheremo carissima una stagione di “riforme” fatte con i piedi o con altre meno nobili parti anatomiche, mentre stormi di cocoriti vi diranno che sono stati creati 700 mila posti di lavoro, frutto dell’illusione ottico-demografica della legge Fornero, e quindi che va tutto bene. Queste bestialità ne alimentano altre, di segno uguale e contrario, che sono quelle di chi chiede di stampare moneta o procedere sulla strada di un ormai collaudato autocannibalismo, quello del paese che divorò se stesso a colpi di tasse e spesa, e promesse elettorali con qualche scampagnata francescana.

Per ogni Matteo Renzi che fa puttanate e le chiama riforme, sorge un grillino o un demagogo stampatore di moneta dotati di badile per scavare una fossa ancora più profonda al paese. Tutto si tiene, in questa letale divisione del lavoro attuata dai nostri nocchieri d’inferno.

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