Le assicurazioni italiane e l’epifania dello spread

Ieri, in occasione dell’assemblea annuale dell’Ania, l’associazione che riunisce le imprese di assicurazione del nostro paese, c’è stata una sorprendente epifania: lo spread sui titoli di stato fa male a compagnie ed assicurati. Chi l’avrebbe mai detto, signora mia. Che fare, quindi? Per il momento si ripercorre la strada da anni battuta senza successo dalle banche. E l’esito sarà identico. Eppure, basterebbe seguire sani principi di diversificazione.

La presidente di Ania, Maria Bianca Farina, ha segnalato che oggi un’eventuale crisi dello spread rischia di abbattersi sul mondo delle assicurazioni con violenza ben maggiore di quanto accaduto nel 2011, e già a partire da livelli di spread ben inferiori a quelli toccati in quel periodo. La causa di ciò è la direttiva Solvency 2, che all’epoca non esisteva, e che oggi pone limiti e penalità ben precisi sugli investimenti delle assicurazioni, a tutela della loro solvibilità.

Nelle parole della presidente Farina, che presiede anche Poste italiane e dal 2007 è a.d. di PosteVita, altro grande acquirente del debito pubblico italiano:

«[…] non possiamo non sottolineare il forte rischio che un sensibile allargamento dello spread comporta nel breve nei bilanci delle compagnie di assicurazione e che, nel caso di persistenza, inevitabilmente è destinato a riflettersi sui rendimenti corrisposti ai nostri 20 milioni di clienti»

Quindi, a suo giudizio,

«[…] si dovrà tenere conto anche in sede normativa per ridurre i possibili effetti pregiudizievoli per i risparmiatori derivanti da un’applicazione rigida delle regole contabili che costringono anche in situazioni straordinarie e transitorie a recepire perdite quando i titoli non sono negoziati»

Non mi è chiaro perché si parli di “situazioni straordinarie e transitorie”, quando è evidente che il nostro paese rischia di avvitarsi sullo spread e vista la persistenza dell’ultimo allargamento, frutto del maggior premio al rischio che i mercati incorporano al nostro debito temendo che qualcuno, nell’attuale maggioranza, cerchi l’Incidente.

Non ci sono però solo le valutazioni di mercato per titoli che restano in portafoglio: c’è anche la loro rischiosità, cioè la volatilità che i loro prezzi esprimono. Anche per questo motivo, sostiene Farina, si avrebbe

«[…] necessità di modificare il funzionamento del volatility adjustment, l’algoritmo destinato ad attutire gli effetti sulle esigenze di capitale della eccessiva volatilità dello spread di un singolo paese»

Ecco, questi sono punti da analizzare attentamente. Ma prima, serve anche leggere un’altra frase della presidente di Ania:

«Larga parte del risparmio assicurativo ha sostenuto il debito pubblico anche, e soprattutto, negli anni più difficili. Detti titoli rappresentano oggi oltre il 15% dell’intero stock in circolazione»

Dunque, i titoli di Stato italiani in portafoglio alle assicurazioni italiane sono ben 300 miliardi, su 850 miliardi di investimenti complessivi. Oltre un terzo. Non so a voi, ma a me pare che anche qui, come nel caso del portafoglio di proprietà delle banche, il concetto di diversificazione del rischio degli investimenti sia andato a farsi benedire, per usare un verbo da fascia protetta. Poi, una volta cambiato l’habitat, cioè le norme internazionali, a cui ogni paese deve aderire, eccoci pesantemente spiazzati.

Dire poi che “il risparmio assicurativo ha sostenuto il debito pubblico”, in un mondo normale e normodotato per senso comune, non porta ad una medaglia al valore bensì ad una per stupidità. Il debito pubblico di un paese deve essere appetibile per meriti propri e null’altro, ed entrare nei portafogli secondo i pesi dei benchmark internazionali, con aggiustamenti in più o in meno a seconda delle prospettive di evoluzione di quel debito.

Ma non divaghiamo: quello che conta sottolineare è che, come per le banche, le assicurazioni italiane sono malate di home bias sul debito pubblico, e non sono affatto certo che la soluzione passi per quanto chiesto dalla presidente di Ania, cioè martellare le norme internazionali per fingere che non esista rischio emittente. Del tutto oziosa, quindi, la considerazione di Farina, sulla necessità che il debito pubblico sia e resti sostenibile.

Il punto resta quello: come per le banche, anche le assicurazioni rischiano un’intossicazione letale da titoli di stato, su di sé e sulle polizze degli assicurati. Inutile fare professione di sovranismo finanziario e tentare di pestare i pugni nei consessi internazionali dove le regole del gioco vengono definite. Si parta dalla diversificazione degli investimenti come strumento per disciplinare la Repubblica italiana ed il suo Tesoro, senza guardare ad improbabili “vincoli di portafoglio” o aiutini alla politica per ottenere favori nel rapporto con gli assicurati.

Sin quando questi concetti elementari non entreranno in mente, avremo solo disastri che attendono di accadere.

P.S. È innegabile che il peso dei Btp nei portafogli assicurativi, dalla Grande Crisi, è sceso molto. Siamo passati dall’80% del 2008 a circa il 33% medio attuale, per vincolo di realtà. Ma ancora dovrà scendere. Il minore rendimento sarà compensato dall’inserimento in portafoglio di obbligazioni societarie e, in modica quantità, di alternative investment ed azionario. Anche per questi motivi, ha assai poco senso usare argomentazioni “patriottiche” ed improbabili “circostanze eccezionali” per indurre il governo pro-tempore a sbattere gli immancabili pugnetti nelle sedi internazionali deputate.

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