I mercati finanziari, ripetutamente presi a ceffoni da uno scenario sempre più concretamente stagflazionistico, stanno avvicinandosi a quella che viene definita capitolazione: il momento in cui anche i più tenaci gettano la spugna e vendono, ponendo le basi per la successiva ripresa.
Schiaffeggiati dal dollaro
Poiché tutto si tiene, gli ultimi giorni hanno visto la ripresa della tendenza di marcato indebolimento della lira turca, che soffre la forza del dollaro e il contesto globale di tassi in rialzo mentre la banca centrale di Ankara, su indicazioni del presidente Recep Tayyip Erdogan, non si muove. Nel frattempo, hanno preso corpo un paio di situazioni che confermano che la capitolazione potrebbe essere prossima anche per la Turchia.
Quale è il problema della Turchia, in questo contesto? Quello di tutti i paesi emergenti: la forza del dollaro, sostenuta da prospettive di rialzo dei tassi americani, che porta a deflussi di capitali dagli emergenti, rafforzati da prospettive negative per l’economia globale. In questi casi, le banche centrali di paesi come la Turchia possono solo alzare i tassi, distruggere domanda interna e incrociare le dita.
Non Erdogan, che ha deciso che l’inflazione si combatte abbassando i tassi anziché il contrario. Il paese ha già riserve valutarie largamente prese a prestito, mediante accordi swap con controparti estere, e ha disperato bisogno di rimpinguarle. Che si fa, in questi casi, oltre a vendersi alle petromonarchie, in nome di un orgoglioso accattosovranismo di rito turco? Mi vengono in mente controlli sui capitali ma Erdogan non vuole.
Un rendimento “garantito”, non è chiaro da cosa
Per attrarre valuta forte, ecco che le autorità turche hanno studiato un ingegnoso piano, che prevede di offrire finanziamenti in lire turche a tasso zero ai non residenti che compreranno obbligazioni locali mantenendole per almeno due anni. In cambio otterrebbero un rendimento garantito in dollari del 4%.
Non saprei neppure da dove iniziare, a criticare questa assurdità. Intanto, il 4% in dollari a due anni sul rischio-Turchia è ridicolmente bassa come remunerazione, visto che il Treasury americano di pari scadenza rende oggi circa il 2,5%, ed è la cosa più liquida esistente al mondo.
Non solo: un eurobond turco in dollari con scadenza residua a due anni rende il 5,5%. Alcuni gestori fanno notare che potrebbero vendere un credit default swap a due anni, incassando il costo della protezione, e portare a casa il 6%. Sempre che la Turchia nel frattempo non faccia default.
Il 4% in dollari a due anni visto come premio al rischio-Turchia (e alla illiquidità), è semplicemente risibile. Senza contare che, con la volontà del governo turco di non contrastare l’inflazione, al termine del biennio di prestito l’esborso rischia di essere sanguinoso per le casse pubbliche turche. Al punto che quei fondi potrebbero non essere rimborsati. Perché portare soldi in un paese che sarà costretto a bloccare i rimborsi in valuta? Ah, saperlo.
L’ombra lunga di controlli su capitali
Questa “idea” è la traduzione, destinata a non residenti, dello schema di depositi “protetti” dal rischio di cambio, che sta svenando le casse turche. Cose che accadono, quando si tenta disperatamente di negare la realtà. Con una inflazione al consumo al 70% che è prevista raggiungere per inerzia il 100% in corso d’anno, i margini di manovra sono inesistenti, a meno di mettere mano a una fortissima stretta monetaria.
Oppure, e torniamo al punto di partenza, imporre controlli sui capitali in uscita. A questo proposito, è di oggi la notizia che la banca centrale turca starebbe “discretamente” chiedendo alle banche commerciali il motivo di acquisti di dollari da parte dei loro clienti. Questa sorta di moral suasion pare mirata almeno a rallentare gli acquisti di valuta, per alleggerire la pressione sulla lira.
Cosa non troppo intelligente per un paese trasformatore e pure nel bel mezzo di una guerra che ha fatto esplodere il costo delle materie prime. Se siete abbastanza in là con gli anni o avete inopinatamente letto qualche libro di storia economica italiana, queste tecniche dovrebbero esservi piuttosto familiari: c’è una ricca letteratura, per chi fosse interessato. La differenza è che arrivano con qualche decennio di ritardo e mercati globali dei capitali incomparabilmente più aperti che all’epoca.
Ma tant’è, questo vuole il Sultano che ha deciso che le “leggi” economiche non valgono, nel suo paese. Diamo garanzie di rendimento a chi ci darà dollari e al contempo cerchiamo disperatamente di frenare l’invio di valuta all’estero. Cosa potrà mai andare storto?
Se la storia è minimamente in grado di aiutare, verrà il momento in cui, prima di espliciti controlli sui capitali, le autorità turche alzeranno il costo del denaro senza toccare i tassi ufficiali. Ad esempio imponendo pesanti depositi infruttiferi ai richiedenti valuta. Il risultato sarà una randellata all’economia reale, incluso il settore delle esportazioni, ma non si può avere tutto, nella vita.