Attenzione, per una volta non stiamo parlando dell’Italia ma del paese che, da qualche anno, ha preso a seguirne le orme, tra illusioni e illusionismi della sua classe politica: il Regno Unito. Il prossimo 4 luglio (data piuttosto evocativa) i britannici sceglieranno il loro prossimo parlamento. Tutti i sondaggi prefigurano una disfatta di proporzioni epocali per i Conservatori, dopo tredici anni di governo senza soluzione di continuità, e il ritorno del Labour dopo l’epoca blairiana di governo e la parentesi estremista corbyniana di opposizione.
Come sapete se seguite questi pixel con masochistica regolarità, negli ultimi anni ho identificato numerose somiglianze tra le dinamiche politiche italiane e quelle britanniche. Ha iniziato il funambolico e pittoresco Boris Johnson succeduto a Theresa May che, vista con gli occhi di oggi a bordo pista del circo, sembra Churchilli.
Ma ha proseguito e concluso, nel cupio dissolvi del partito, Rishi Sunak, dopo i 45 esilaranti (visti da fuori) giorni della sciroccata ultra-liberista (o meglio, liberota) Liz Truss, che tuttora vaneggia di complotti del Deep State contro il suo programma di governo, mettendo tra i congiurati non solo la burocrazia ministeriale e i contafagioli indipendenti dell’Office for Budget Responsibility (OBR) ma anche la City di Londra, noto covo di comunisti.
L’Independence Day dai Tories
E mentre Truss corre garrula verso il trumpismo, Sunak ha convocato le elezioni dopo settimane di incertezza rispetto a una data che si immaginava più spostata verso l’autunno. In molti si chiedono il motivo di questa tempistica, secondo un dibattito-chiacchiericcio che ricorda anche in questo caso quello italiano.
C’è chi dice che Sunak abbia scelto questa data perché le previsioni per l’inflazione mostrerebbero una risalita autunnale; chi sostiene che lo abbia fatto perché incapace di mettere anche un solo immigrato su un aereo per il Ruanda durante l’estate, come invece programmato. C’è poi chi dice che Sunak, che era un manager finanziario, non vedrebbe l’ora di tornare alla sua precedente vita, magari in qualche hedge fund negli Stati Uniti, paese di cui tornerebbe a disporre di una Green Card. Chi, più pragmaticamente, sostiene che Sunak è contrario all’accanimento terapeutico.
Come che sia, Sunak tenta ancora, col suo Cancelliere dello Scacchiere Jeremy Hunt, di estrarre dal cilindro qualche spelacchiato coniglio ma il suo partito è balcanizzato, con una destra nativista e anti-tasse che tenterà di prenderne il controllo tra le macerie fumanti post elettorali, anche se un numero impressionante di parlamentari Tory hanno scelto di tornare alla vita privata, prima ancora di esservi spediti dagli elettori.
Dopo una cavalcata nichilista e populista iniziata con gli assalti di Nigel Farage, che hanno portato l’allora premier David Cameron ad “aprire quella porta” e convocare il referendum sulla Brexit, Farage e il suo nuovo partito, Reform UK, appaiono ancora in grado di sbriciolare quel che resta dei Tory, soprattutto dopo che il leader pare aver cambiato idea e deciso di partecipare (siamo all’ottavo tentativo) alle elezioni generali.
Tasse e fiscal drag
I Tory, si diceva, sono ossessionati dalle tasse. Nel senso che, post Covid, fu lo stesso Sunak da Cancelliere di Boris Johnson ad alzarle, sia pur mantenendole a grande distanza dalle medie dell’Europa continentale. E le alzò con un espediente poi mantenuto e anzi rafforzato dal suo Cancelliere Hunt: il fiscal drag.
Blocco dell’indicizzazione degli scaglioni d’imposta e delle detrazioni per alcuni anni, poi addirittura esteso. In tal modo, a causa della pressione inflazionistica di questi tempi, un numero crescente di contribuenti finisce a pagare più tasse o pagare le tasse per la prima volta, uscendo dalle varie no-tax area.
Misura maledettamente italiana, che sta portando una ricca messe di gettito nelle casse dell’erario. Al punto da consentire a Sunak e Hunt di tagliare i contributi sociali della National Insurance per ben due volte e quattro punti percentuali, dopo averli aumentati post Covid.
Da qui, sono iniziate le promesse elettorali: taglieremo ancora la National Insurance, e magari l’imposta personale sui redditi. O, perché no?, quella sulle successioni. Ammesso e non concesso di aver il margine. E come si calcola, quel margine? Secondo una regoletta empirica molto rozza: si prendono le previsioni dell’Office for Budget Responsibility sul rapporto debito-Pil a cinque anni e, se cala, si festeggia promettendo tagli delle tasse. Non solo: se le stime a cinque anni di OBR vedono una timida flessione del debito-Pil, ecco Sunak accorrere e proclamare “abbiamo ridotto il debito”. Giuro, l’ha detto davvero.
Ovviamente, una previsione a cinque anni non vale la carta si cui è scritta, ma tant’è: serve una pezza d’appoggio contabile.
In casa Labour il prossimo premier, Sir Keir Starmer, e la sua Cancelliera ombra, Rachel Reeves, personaggi piuttosto inclini alle giravolte (soprattutto il primo) si sono già posizionati in modo fiscalmente conservatore, al punto da sembrare i nuovi Tory e non un partito di sinistra riformista. E giù con le accuse ai Tory di mettere a rischio i conti pubblici. Ma anche con le promesse di non alzare altre imposte oltre a quelle già identificate, cioè introduzione dell’Iva sulle scuole private, maggior tassazione dei residenti non domiciliati (Non Dom), malgrado i Tory abbiano rubato quel punto del programma al Labour, e tassazione ad aliquota marginale del famigerato carried interest, cioè delle poderose commissioni di performance che i gestori di fondi si intascano e che sono oggi tassate a favorevole cedolare secca.
Se non fosse che il Labour ha deciso di farsi piacere anche ai banker della City, oltre ad essere il portabandiera della competitività nazionale. Quindi non si può escludere che questa promessa di tassazione venga messa in naftalina per non causare migrazioni dalla City. Magari diverrà una sorta di “obiettivo di legislatura”, come si dice da noi quando si sa che nulla accadrà per manifesta impraticabilità della misura.
Nel frattempo, Sunak l’italiano sta facendo promesse da finanziare con “tesoretti” che altro non sono che furti con destrezza, come quello del fiscal drag. L’ultima di tali promesse ipotizza di reintrodurre l’indicizzazione sulla personal allowance delle pensioni, cioè la deduzione personale dall’imponibile da pensione. La quale, a causa del congelamento della indicizzazione, entro il 2027 dovrebbe essere vaporizzata, portando tutti i pensionati britannici a pagare le tasse sino all’ultima svalutata sterlina.
Sempre riguardo alle pensioni, il sistema britannico gode di una indicizzazione del primo pilastro che suscita la smodata invidia dei nostri politici. Il cosiddetto triple lock, che ogni anni fa aumentare le pensioni del maggiore tra la crescita dell’inflazione, quella delle retribuzioni e 2,5%. Anche un somaro capirebbe che, con questo sistema, l’esborso pensionistico britannico finirà alle stelle nel giro di pochi anni. Ma, anche qui, tant’è.
L’avete colta, l'”italianata”? Si promette di difendere l’assai vantaggiosa indicizzazione delle pensioni ma, nel frattempo, si è fatto in modo di riprendersi i soldi col fiscal drag. E, tu guarda, sotto elezioni si tenta di promettere che la no tax area dei pensionati verrà nuovamente indicizzata. La disperazione fa fare di queste cose. Ma qui -forse- gli italiani potranno spiegare ai britannici come raddrizzare la barca delle pensioni, alleggerendola.
Brexit? What’s Brexit?
Nel frattempo, in questa campagna elettorale praticamente nessuno parla più della Brexit, che era tema unico nel 2019. Sunak prosegue con i proclami di voler contrastare l’immigrazione, di cui il paese ha bisogno, fa passare deroghe al leggendario sistema a punti che si sta rivelando un miraggio per sempliciotti, come altrove nel mondo, ma mette mano agli ingressi di studenti stranieri nelle università britanniche.
O meglio, manomette, cercando di rimuovere il visto biennale automatico post laurea e l’accompagnamento dei congiunti nei corsi post graduate. Se non fosse che le tuition fees britanniche sono bloccate da molti anni e gli studenti residenti hanno sin qui goduto di un sussidio da parte di quelli stranieri. Se ora questi ultimi vengono fortemente disincentivati a studiare in UK, delle due l’una: o il sistema universitario britannico sblocca le rette per i residenti, oppure ampie porzioni del medesimo saltano per aria. Prima i britannici, insomma.
Starmer in tema Brexit e immigrazione ha a sua volta le sue belle “linee rosse”, ma nel frattempo cerca di capire se può scroccare pasti gratis alla Ue, rientrando in accordi comunitari senza mostrare che sta rientrando.
Su tutto, c’è un punto: il Regno Unito appare in forte affanno a mantenere il suo welfare con questa pressione fiscale. Ad esempio, il servizio sanitario nazionale boccheggia quanto e più del nostro (ma è una tendenza europea, attenzione). Nel frattempo, il dibattito nazionale è focalizzato su come ridurre le tasse o come non alzarle, e si guarda con sgomento all’aumento di pressione fiscale degli ultimi anni, “il maggiore livello dal dopoguerra” ma pur sempre in un intorno del 37-38 per cento.
Quante tasse per fare cosa
È sostenibile? Io la risposta non ce l’ho, ma la campagna elettorale del Labour mi pare indichi che nel paese il tema di aumento delle imposte resti tabù. E tuttavia, i britannici dovranno fatalmente scegliere: meglio un taglio di tasse o giorni di attesa parcheggiati in un pronto soccorso e mesi per una tac? Se qualcuno mi risponde che le due cose non sono in alternativa, ho un meraviglioso ponte in fondo all’arcobaleno da vendergli.
In caso, il Labour potrà puntare a una ricomposizione del gettito fiscale a pressione invariata o quasi, per tentare di migliorarne equità ed efficienza. Ma non tratterrei il respiro nell’attesa, anche se resto pronto a prender nota e commentare. Unica certezza, ci saranno sempre numerosi tonti italiani pronti sugli spalti con sciarpa, fischietto e cappellino a sostenere la bontà della Brexit, anche molto tempo dopo che l’elettorato britannico l’avrà sconfessata.
Frattanto, i nostri eroi d’Oltre Manica continuano ad esercitarsi in forme di stand-up comedy che sembrano pièce della nostra commedia dell’arte. Non ci credete? Guardate cosa è riuscito a dire Lord Cameron, l’uomo che ha tolto la chiave di volta ad un paese, indossando con grande eleganza un naso rosso di plastica. Gli allievi hanno ormai messo la freccia, il sorpasso ai maestri è in vista.

Photo by UK Parliament on flickr – CC BY-NC-ND 2.0 DEED



