Da tempo sto seguendo gli spasmi della politica e del dibattito pubblico in Regno Unito. Almeno dalla proclamazione del referendum sulla Brexit, a giugno 2016 ma in realtà dalla campagna referendaria. Da quel momento, ho avuto la crescente sensazione che in quel paese si fosse attivato un processo familiare a noi italiani ed alla nostra profondamente disfunzionale politica. Da quel momento, non ho ricevuto che conferme, e l’arrivo di Boris Johnson al numero 10 di Downing Street ha rappresentato l’apoteosi di questo processo di italianizzazione. Una forma di populismo che si alimenta di pressappochismo, ignoranza fattuale, avversione per le analisi costi-benefici, inclinazione alle grandi promesse, tragico deficit di attenzione.
Del processo di Brexit abbiamo visto in questi anni e ho cercato di informarvi delle svolte più significative, molte delle quali erano solo movimenti circolari di ritorno al via. Ultimatum arrivati e passati, tentativi di sconfessare se stessi sui trattati di uscita, promesse di mirabolanti innovazioni tecnologiche, tali da far sparire qualsiasi ipotesi di collo di bottiglia negli adempimenti doganali che fatalmente seguiranno il fallimento degli accordi a dazi zero.
Ma è con questa maledetta pandemia che Johnson sta toccando livelli di autentica disperazione. Accomunato, in questo, a pressoché tutti i leader mondiali ad eccezione di quelli che hanno l’enorme fortuna di essere il prodotto di elettorati sufficientemente adulti e scientificamente alfabetizzati da poter fare loro discorsi non consolatori ma improntati alla progettualità delle cose da fare per cercare di uscire dal tunnel. Ogni riferimento ad Angela Merkel e ai tedeschi è puramente voluto.
Oggi Johnson è alle prese con la rabbia concentrica dei suoi colleghi di partito contrari al nuovo lockdown; sia quelli appartenenti alla celebre scuola di pensiero secondo cui viene prima l’economia della salute (ehi, pssst: le due dimensioni sono maledettamente interconnesse ma non ditelo a nessuno, è un segreto), sia i Tories “di sinistra”, perdonate la rozza etichetta, che hanno eroicamente espugnato le roccaforti laburiste nei collegi elettorali più deprivati e ora invocano a gran voce il mitologico processo di “livellamento verso l’alto” della spesa pubblica, rapidamente diventato uno dei sarchiaponi italianizzati del discorso pubblico britannico. Dico britannico ma forse dovrei dire inglese.
Vorrei fare una premessa: una pandemia è qualcosa di sinistramente infido, potrei dire “liquido” ma il termine esatto è ovviamente “aereo“; superati certi limiti di diffusione travolge tutto e tutti, sfuggendo a ogni tardivo tentativo di pianificazione minuta e dettagliata, come quello di isolare determinati setting e vedere ridursi il contagio. Una pandemia è il mortale nemico della politica, dei suoi tempi negoziali, della burocrazia, di società non solo aperte ma anche corporative, quelle che rivendicano tutto su tutto, persino il conteggio delle copie virali per millilitro di materiale biologico tra sé e “gli altri”.
La natura delle pandemie è la forma suprema di nemesi per la politica facilona e miracolistica. Chiunque, tra noi, provi una legittima irritazione per le fiabe per bambini difficili con cui Giuseppe Conte ci ricopre da mesi, tra vaccini sotto l’albero di Natale e altre amenità, sappia che questa non è dinamica esclusiva italiana. Così come non lo è la narrazione del cosiddetto eccezionalismo nazionale.
Il nostro, ad esempio, è quello secondo cui siamo un popolo, colto, ricco di storia e cultura, che ama vivere bene e in rilassatezza ma che, quando provocato dal destino avverso, si rimbocca le maniche e da quel momento non ce n’è più per nessuno. Stiamo allevando generazioni di pubblicitari alienati, con questo claim ossessivo con bandierina tricolore e l’immancabile “noi italiani”.
Johnson ha usato la stessa narrazione per edificare il tempio dell’eccezionalismo britannico. Siamo il popolo campione dei commerci, fuori dalla Ue ritroveremo il nostro nerbo sin qui sfiancato da questi europei decaduti e rammolliti. Perché “noi britannici” (ma voleva dire “noi inglesi”, ovviamente), siamo come Hulk che si strappa le catene dai piedi, siamo Clark Kent che si toglie gli occhiali e diventa Superman anziché avere problemi di vista.
Dopo aver irriso la presunta irresolutezza di Theresa May, Johnson ha finito col seguirne le orme sulla Brexit, per stravincere le elezioni. Dopo aver minacciato ultimatum di ogni genere, meglio se nel mese di ottobre, Johnson torna sempre sui suoi passi. La scadenza del 15 ottobre 2020, accordo con la Ue o basta negoziato e si esce in modalità hard il primo gennaio? Ma quando mai, venuta e andata. So cosa alcuni tra voi stanno pensando: questa è normalissima tattica negoziale. Certo, con la differenza che la tattica negoziale da qualche parte deve approdare, mentre qui siamo di fronte ad un continuo folle svolazzo tra un proclama e l’altro. Come di solito fanno i cosiddetti leader politici italiani.
La pandemia finirà presto, diceva a febbraio e marzo stringendo mani ed elargendo abbracci. Poi ha sostenuto che gli anziani andassero isolati per proteggerli e poter perseguire una immunità di gregge sul resto della società ed è stato costretto a retromarcia fulminea, solo per vedere la sua idea geniale ricicciata a ingrossare la canea italiana dei proiettili d’argento, alcuni mesi dopo.
Finito in terapia intensiva, ne è uscito humbled, come dicono gli anglosassoni, ha dato i nomi di medici e infermieri al suo ennesimo ultimogenito, ha deciso che i britannici devono mettersi a pedalare e buttar giù peso perché altrimenti i rischi aumentano, per tutto. Lodevole, come la condotta di un sempliciotto che nella sua esistenza reagisce anziché agire in modo proattivo.
Johnson è così: è libertario ma anche preoccupato del sovrappeso altrui, vuole poche tasse ma anche più spesa pubblica, è il paladino delle imprese ma riesce anche a invitarle ad andare “a farsi fottere” nei colloqui con i suoi collaboratori.
Abbiamo un sistema di tracciamento di livello mondiale, diceva Johnson ad agosto, un po’ come un politico italiano qualsiasi quando va ai teatrini televisivi a spiegare che il mondo ci guarda, invidia e copia, che siamo un benchmark di qualità. Salvo poi scoprire raccapriccianti buchi nel tracing, fogli excel arrivati al capolinea delle celle, catene di contagio che fanno ciao ciao con la manina. “Abbiamo un sistema sanitario che il mondo ci invidia” è la frase preferita di un politico italiano e di un britannico, fateci caso. I britannici amano la libertà, disse Johnson. Anche gli italiani. Soprattutto quella di ignorare le conseguenze sociali di condotte individuali.
Poi venne il tempo dei lockdown regionali modulati per punteggio di gravità. Non ditelo a nessuno ma gli italiani stanno tentando di fare lo stesso in queste convulse ore, in un negoziato con le regioni che Johnson ha già vissuto e sta vivendo. Ora l’inquilino del 10 di Downing Street spergiura che “a Natale liberi tutti”, con lo sguardo perso nel vuoto. Quando, poche settimane fa, il leader dei laburisti, Keir Starmer, chiedeva un lockdown nazionale di due-tre settimane per recuperare il tracciamento e le catene di trasmissione, Johnson respingeva inorridito l’ipotesi. Salvo poi adottarla, travolto dai ritardi.
La tragedia di Johnson e, a questo punto, del suo popolo, è che una posizione o una idea non gli restano attaccate per più di pochi giorni. Dopo di che, inizia la fuga verso nuovi colpi di scena, manco fosse un italiano qualunque, di quelli che leccano crocefissi e prosciutti, ballonzolano in spiaggia tenendo in mano un bicchiere, fuggono di notte per non farsi arrotare dalla realtà, di cui si mettono alla rigorosa opposizione, nei giorni pari urlando “aprite tutto”, e in quelli dispari “chiudete tutto”.
Ma ormai lo sappiamo, anche se molti tra voi ancora rifiutano cocciutamente di prenderne atto: una pandemia è una bruttissima bestia. Non ci puoi negoziare, non puoi invocare commissioni, cabine di regia, congressi e mozioni, tempi e modi per capire se il parrucchiere è più sicuro del ristoratore o se le scuole sono più blindate dei teatri, quando una circolazione è ormai diffusa.
Tranquilli, però: ora ci dirigiamo verso il test di massa: parte Liverpool, e risolveremo. Speriamo che questa volta sia vero, e non come i sistemi doganali invisibili per avere la Brexit indolore.
Il populismo, come detto, propone soluzioni semplici a problemi complessi. Pare che nel mondo vi sia una domanda imponente, per questo prodotto di mercato politico. Di solito, quando le soluzioni semplici si sbriciolano sui problemi complessi, c’è sempre modo di trovare un colpevole esterno, un nemico, un complotto. Con una pandemia è tutto fottutamente più difficile, oltre al fatto che ci sono molti morti. Non so se Johnson sia un accidente della storia dell’ex impero o un affioramento di qualcosa che ha invece messo radici. Quello che pare evidente è che in lui ritroviamo processi mentali e tratti caratteriali molto italiani. Al punto che potremmo finire a chiamarlo Di Giovanni.