Perdonate l’irriverenza ma la giornata di ieri, ottantesimo anniversario della Victory in Europe, ha dato al mondo, o a una parte di esso, sia il nuovo vescovo di Roma che il primo “accordo” commerciale dopo la proclamazione del Liberation Day da parte di Donald Trump, lo scorso 2 aprile. Pareva dovesse essere quello con l’India ma la crisi col Pakistan ha rinviato l’evento. E così, l’onore è toccato al Regno Unito, paese il cui premier, Keir Starmer, ha da subito deciso di trattare con Trump in modo molto tranquillo e non antagonistico, perseguendo quell’agognato trattato di libero scambio sfuggito agli ultimi primi ministri britannici, che attendevano inutilmente il lieto evento ribadendo la “special relationship” con la ex colonia.
La cornice (forse) di un trattato
In realtà quello di ieri non è un trattato ma una sorta di accomodamento al Liberation Day. I trattati richiedono molto tempo e pazienza, per definirne minuziosamente i dettagli. E la differenza tra un accordo, neppure quadro, e un vero trattato, è e resterà fondamentale. Conoscendo Trump e la sua mentalità, è del tutto possibile che non finisca qui. Sarà anche un modello per altri, ben più impegnativi, negoziati? Lecito dubitarne.
In dettaglio, i dazi sull’esportazione di auto britanniche negli USA scenderanno dal 27,5 al 10 per cento, su una quota di 100 mila auto annue, praticamente quello che è stato venduto lo scorso anno. Azzerati i dazi sulla moribonda industria siderurgica britannica, che il governo Starmer sta cercando disperatamente di tenere in vita con la nazionalizzazione di British Steel. In entrambi i casi parliamo comunque di volumi non imponenti: un decimo del (poco) export di acciaio britannico va negli Stati Uniti. Più in generale, quattro quinti delle esportazioni britanniche si dirigono nella Ue.
Concordato un accesso reciproco al mercato delle carni bovine, nella misura di 13 mila tonnellate annue, col mantenimento degli standard alimentari del Regno Unito per le importazioni. Vedremo se più avanti Trump denuncerà questi standard come barriere non tariffarie, riaprendo i giochi. Londra azzera i dazi sull’etanolo americano su una quota di 1,4 miliardi di litri (ben superiore all’export statunitense dello scorso anno) e rischia di creare problemi ai farmer britannici nella produzione di biocarburanti. Niente dazi per motori di aerei e componenti prodotti da Rolls Royce mentre la controllante di British Airways ordinerà velivoli Boeing per 10 miliardi di dollari. Al momento, non ci sono riferimenti al settore tech. Verosimile attendersi che compariranno durante l’elaborazione del trattato vero e proprio, ammesso che veda la luce.
I due paesi negozieranno altro, in particolare nel settore farmaceutico, molto rilevante per i britannici. Si attende anche la formalizzazione degli eventuali dazi americani sulle produzioni audiovisive, dove i britannici hanno da temere. Trump appare tuttavia ben disposto verso il Regno Unito, almeno oggi. Qualcuno ha definito questo accordo non come un trattato (non lo è) ma come il pagamento di una protezione a un padrino mafioso. Il dazio di base del 10 per cento resta, e Trump lo ha già definito basso rispetto a quello che potrebbe restare per altri paesi, i maggiori offender nella logica trumpiana. Il trattato vero arriverà, se arriverà, probabilmente il prossimo anno. Un’eternità, per la volubilità di Trump.

attendendo i veri test
L’accordo di ieri, che serve sia a Trump che a Starmer, segna tuttavia l’abbandono da parte di Londra del sacro principio della nazione più favorita, che ha guidato la crescita del commercio globale negli ultimi decenni, sotto l’egida della pressoché defunta Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO). Principio in base al quale ogni paese che, concludendo un trattato commerciale, conceda termini favorevoli (come tariffe più basse), deve estendere automaticamente gli stessi benefici a tutti gli altri membri della WTO. Un principio che serve (serviva) a promuovere la non discriminazione nel commercio internazionale. Oggi, il Regno Unito concede agli Stati Uniti migliori condizioni di accesso al proprio mercato per etanolo e carni bovine, ma non fa lo stesso con gli altri membri della WTO. Ma questi rischiano di essere sofismi, di questi tempi.
Per tutto il resto, i Brexiter hanno già iniziato il giro di campo, fantasticando di un improbabile trattamento preferenziale frutto della fuoriuscita dalla Ue. Ci vuole pazienza. Starmer, come detto, prende fiato nella settimana in cui il suo governo raggiunge un accordo con l’India con annesse polemiche per l’esenzione triennale dai contributi alla National Insurance per aziende e lavoratori indiani. Normale reciprocità, dice Starmer. Ma intanto, i Tories e Nigel Farage la stanno già buttando in caciara denunciando la discriminazione di lavoratori e imprese britanniche.
Quanto a Trump, lui è già col cuore e la mente in Svizzera. Dove, in un setting da nuova guerra fredda, gli americani guidati dal Segretario al Tesoro Scott Bessent e i cinesi inizieranno a prendersi le misure per tentare il necessario disgelo. Che ovviamente avverrà, magari sotto forma di un taglio di qualche decina di punti percentuali a dazi da embargo reciproco. E poi si aprirà il negoziato, quello vero. Ma intanto, Trump ha già espresso i suoi “consigli per gli acquisti”: andate e compratene tutti. Di azioni, si intende. E il mercato, che sempre più spesso di questi tempi appare in mano al retail, ha colto e raccolto l’invito.
Vedremo come evolverà questa caotica performance teatrale, tenendo presente che la tariffa media resta molto elevata, e lo resterebbe anche se dovesse subire limature negoziali nei prossimi giorni e settimane. Quindi l’onere sul sistema economico globale resta pesante. Se tale onere giustifichi – e sia compatibile con – gli attuali corsi di borsa, lo scopriremo.
(Photo by No.10 on flickr – CC BY-NC-ND 2.0)



