Chi di noi non vorrebbe avere un angelo custode? Una sorta di entità superiore, che possa guidarci nei nostri atti quotidiani, consigliarci ed impedirci di compiere sciocchezze di varia natura? Sfortunatamente, non tutti possono avere una simile guida al proprio fianco. Altri, più fortunati, dispongono di questo “benefit”. E’ il caso di Giovanni Consorte, presidente di quella Unipol che si accinge ad acquisire il controllo di Banca Nazionale del Lavoro, dopo aver messo in cantiere un aumento di capitale da far tremare le vene ai polsi di entità ben più robuste della pur solida cooperativa bolognese. Ma tant’è, anche a distanza di molti anni il fascino della bancassurance è sempre forte, malgrado risultati non propriamente eclatanti, perlomeno in Italia. E poi, quando il Partito chiama, i piani industriali sgorgano come ruscelli di montagna, rinfrescanti ed incontaminati. L’angelo custode di Consorte è niente meno che un magistrato, di quelli che scioperano contro il governo accusandolo, con la sua riforma della giustizia, di attentare all’indipendenza dell’ordine giudiziario.
Nel bel mezzo dell’ennesimo capitolo della saga delle “tracimazioni” di atti giudiziari, attività che sembra essere diventata l’oggetto sociale della Procura di Milano, ecco il presidente di Unipol entrare in scena “trasversalmente”, per così dire. E’ infatti anche il manager delle Coop (già rinviato a giudizio dalla magistratura milanese per un presunto insider trading di Unipol nel 2002, di cui parleremo tra breve) ad avere il telefono sotto controllo nell’inchiesta lombarda sulla scalata «occulta» dell’amministratore delegato della Banca Popolare Italiana, il noto bacia-governatori Gianpiero Fiorani, e dei suoi alleati, i palazzinari concertisti, alla Banca Antonveneta. Ed è per l’appunto Consorte ad essere intercettato mentre racconta ad alcuni suoi collaboratori i contatti con un magistrato, come se questi gli avesse prospettato prima propositi e poi esiti tranquillizzanti (da capire se reali, se artefatti dal manager, o se millantati dal magistrato) a seguito di presunti interessamenti presso la Procura di Roma di questo giudice.
Il giudice in questione è il neopresidente del Tribunale di Sorveglianza di Milano ed ex vicepresidente dell’Associazione nazionale magistrati, Francesco Castellano, l’anno scorso presidente del collegio del processo Sme a Silvio Berlusconi e Cesare Previti. Castellano è amico di lunga data di Consorte, e non fatichiamo a crederlo, visto che dal 5 luglio fino a pochi giorni fa i due si sono sentiti telefonicamente ben 15 volte.
Sfortunatamente, sono trascorsi almeno 10 giorni senza che la Guardia di Finanza segnalasse in tempo reale alla magistratura, dalla quale aveva ricevuto delega a intercettare alcuni protagonisti dell’affare Antonveneta, che nelle telefonate captate era capitato anche di «ascoltare» la coppia Castellano-Consorte. E la sfasatura comunicativa, non favorendo il rapido sviluppo di accertamenti efficaci, quali ad esempio servizi di osservazione di un incontro tra i due, neppure avrebbe valorizzato per tempo la telefonata nella quale il fresco capofila della «scalata» alla Bnl si dava un appuntamento di persona con il giudice.
Il perché di questa inerzia, non è ancora noto: forse un sovraccarico investigativo concentrato sul nucleo principale dell’indagine, quello relativo a Fiorani & compari, forse per difficoltà ad identificare immediatamente l’interlocutore di Consorte. Già nella prima telefonata del 5 luglio, tuttavia, il magistrato si presentava con nome e cognome, utilizzando un’utenza telefonica del «Consiglio di presidenza della giustizia tributaria», che avrebbe in realtà consentito una agevole identificazione, essendo notorio e facilmente verificabile che proprio il magistrato milanese con quel nome e cognome è anche giudice tributario componente il Consiglio. Un’informativa-lampo, inoltre, non c’è stata neanche quando il contatto con Consorte è avvenuto da una utenza intestata (dal punto di vista della bolletta) alla Procura, circostanza che si sarebbe immaginata di per sé già potenzialmente allarmante. Oppure perché dal tenore delle comunicazioni non sarebbero emersi elementi penalmente rilevanti a carico del magistrato. Come che sia, la Procura di Milano ha trasmesso le trascrizioni delle intercettazioni a quella di Roma, accompagnate dalla formula “per quanto di competenza”, che indica l’assenza di rilevanza penale accertata al momento della trasmissione. Infatti, in caso di notitia criminis a carico di Castellano, il fascicolo avrebbe dovuto essere trasmesso alla Procura di Brescia, competente nei riguardi dei magistrati milanesi. A Roma, le trascrizioni verranno esaminate dal procuratore capo, Achille Toro, che appartiene alla stessa corrente di Castellano, Unità per la Costituzione (Unicost), e che sta indagando sul filone romano della scalata ad Antonveneta.
Castellano si è immediatamente difeso:
“Consorte mi aveva esternato la sua determinazione in ordine alla possibilità di acquisire la Bnl.
Io, meravigliato, gli raccomandai vivamente soltanto la necessità di attenersi a regole di assoluta trasparenza, tanto più che si trattava di un contesto caotico, come andavano riferendo tutti i mezzi di informazione. Un consiglio che da magistrato, come doveroso, avrei dato a qualsiasi cittadino: comportarsi secondole regole”.
Evidentemente, se per esprimere questo palmare concetto sono servite quindici telefonate, si potrebbe inferire che Consorte è piuttosto duro di comprendonio. Ma niente paura, Castellano ha una risposta anche per questa obiezione:
”Si trattava di brevi telefonate con cui si fissavano o si rinviavano appuntamenti anche con amici comuni, in relazione agli impegni reciproci. Sono infatti buon conoscente di Consorte, in quanto abbiamo amici comuni a Bologna”.
Insomma, un po’ come quello che accade a noi comuni mortali, quando tentiamo di organizzare una pizza tra amici. Attendiamo fiduciosi le valutazioni romane su questa vicenda.
Nel frattempo, proviamo ad approfondire la figura di Giovanni Consorte. Secondo Peppino Turani, uno che di mosconate borsistiche se ne intende, il cinquantasettenne ingegnere chimico, nato a Chieti ma bolognese di adozione, ama comandare e non tollera molto i pareri contrari.
Sono più di dieci anni che conta di trasformare la piccola Unipol in uno strumento finanziario importante e si è mosso secondo linee nette, come un consumato stratega sul campo di battaglia. Per prima cosa ha infilato i suoi uomini ovunque nella grande galassia delle cooperative. Spesso ha usato la liquidità dell’Unipol per aiutare le coop in difficoltà, riuscendo alla fine a metterle sotto la guida di suoi fedeli. Al punto che oggi è certamente il re indiscusso del mondo cooperativo “rosso”.
Poi ha fatto crescere la Unipol comprando compagnie a destra e a sinistra, senza curarsi molto del prezzo e dei risultati. L’importante era crescere e raggiungere una certa dimensione, in modo da avere i numeri per tentare giochi più grandi. Nel 1989, grazie a un accordo con Mediobanca, la Unipol riesce a aumentare il proprio capitale e a quotarsi in Borsa. Ma questo è solo l’antipasto. Dieci anni dopo, nel 1999, la Unipol viene chiamata (probabilmente da Mediobanca, che un anno dopo gli farà acquistare la quota Generali della Bnl Vita) a fare parte dell’armata della “razza padana” che dà l’assalto, sotto la guida di Colaninno, alla Telecom. In realtà, la scalata si risolve in un grosso affare per gli scalatori, che due anni dopo vendono tutto alla Pirelli, guadagnando molti soldi. Si dice che la Unipol abbia fatto una plusvalenza di 100 milioni di euro.
Ma questo, se si vuole, è quasi solo un dettaglio. In quell’occasione, infatti, fa amicizia con gli uomini della razza padana, e in particolar con Chicco Gnutti e Fiorani della Popolare di Lodi (oggi Popolare Italiana). Fra tutti questi soggetti nascono incroci azionari molto complicati, e l’amicizia è cementata anche da vacanze fatte insieme in barca. In sostanza, Consorte raccoglie intorno a sé quella finanza emergente che è in giro per far soldi e che non è accettata nei salotti buoni.
Non si sa se in questo veda anche qualcosa “di sinistra” (gli emergenti contro l’establishment), ma è probabile che Consorte non abbia assolutamente nulla di sinistra. E’ solo un finanziere che ha visto nell’area delle coop e della finanza rossa un luogo poco presidiato e dove era facile fare carriera e accumulare potere.
Turani glissa amabilmente su un piccolo ma illuminante “dettaglio” dello stile dei cavalieri di ventura italiani, visto che definisce “incidente di percorso” il rinvio a giudizio di Consorte e dell’allora suo vice, Ivano Sacchetti, per insider trading. Un capo d’imputazione talmente etereo da non essere quasi mai stato utilizzato, qui in Italia, a tutela del risparmio, e che ci induce a ritenere che, nell’occasione, il nostro ingegnere-conducator si sia comportato da autentico pollo.
Ma cosa successe in quella circostanza?
Nel marzo 2002, Unipol decise di procedere al rimborso anticipato di due proprie emissioni obbligazionarie. Una, in particolare, aveva un tasso nominale del 2.25 per cento, con scadenza al 30 giugno 2005. A causa dei rendimenti di mercato di allora, il titolo quotava ampiamente sotto la parità. Unipol decise invece di rimborsare anticipatamente un debito che le consentiva di risparmiare sui tassi correnti di mercato. Come magistralmente ricostruito (e denunciato) dal professor Beppe Scienza, la cooperativa bolognese spese, per il rimborso delle obbligazioni, 318 miliardi di lire. Quella somma, investita in titoli di stato di scadenza pari alle convertibili, avrebbe fruttato circa 14 milioni di euro di interessi attivi per il bilancio Unipol. Perché i compagni-manager bolognesi gettarono dalla finestra tanti soldi? L’unica cosa certa è che l’andamento delle quotazioni dell’obbligazione, nei giorni immediatamente precedenti l’annuncio del riacquisto, prese a salire furiosamente, con volumi in forte aumento, nel più classico caso di insider trading che la borsa italiana ricordi. Il tutto, nell’abituale passività della Consob, il nostro ectoplasmatico watchdog borsistico. Scrive Beppe Scienza:
E’ infatti molto strano che qualcuno certi giorni abbia improvvisamente fatto acquisti così mastodontici, per giunta a prezzi poco convenienti. Da inizio 2002 le quotazioni del reddito fisso sono generalmente scese, quelle delle Unipol 2000-2005 invece salite. Dunque non si vede proprio l’interesse a tali acquisti, a meno di sapere in anticipo dell’imminente rimborso. Inoltre è stupefacente che ci fosse qualcuno bello pronto, per esempio il 24 gennaio, a vendere una tale barca di titoli.
Tutto questo è sorprendente. Abbiamo cercato lumi da parte dell’Unipol, ma c’è stato raccontato che le obbligazioni erano state rimborsate perché il tasso d’interesse era alto (!). Abbiamo insistito per ottenere qualche giustificazione meno strampalata, ma nonostante ripetute telefonate la stiamo ancora aspettando. A questo punto viene addirittura il dubbio che il rimborso anticipato, in spregio agli interessi della società, sia stato deciso proprio per permettere quegli strani acquisti.
Finanziamento illecito ai partiti? Gioco delle tre tavolette per far fare qualche soldino ad alcuni esponenti della leggendaria “razza padana” imprenditoriale? Attendiamo il processo. Ma riteniamo che queste informazioni siano illuminanti, ed occorrerebbe forse ricordarle, quando leggiamo dichiarazioni come questa, dell’ineffabile Fassino:
Non vedo perché una grande compagnia assicurativa come Unipol non possa essere presente in modo più massiccio nel settore bancario se questo corrisponde ai suoi interessi aziendali.
Giusto, che diamine. Anche se forse gli “interessi aziendali “ a cui i compagni di Unipol avrebbero dovuto prestare maggiore attenzione erano quelli sul proprio debito.