Giorni addietro ci è capitato di ascoltare un podcast prodotto dall’Associazione Articolo 21, la creatura di quell’impareggiabile agit-prop che è Beppe Giulietti. In 21 non casuali minuti, vi si narravano le ultime avventure di Vauro. Il Nostro era stato denunciato per aver detto “ricordati che devi morire” al conduttore di “Punto e a capo”, Giovanni Masotti. Vauro si è difeso affermando di essersi limitato ad una citazione medievale e millenaristica, il noto memento mori, e di esservi stato ispirato dall’incontenibile vanità di Masotti che, come noto, va in trasmissione con un’imbarazzante acconciatura ampiamente phonata, e fa largo uso di una gestualità che ricorda molto da vicino quella di Johnny Depp ne “La maledizione della Prima Luna”. Masotti ha letto nella singolare boutade una sorta di minaccia trasversale, ed è partita la carta bollata. Prosciolto dall’Ordine dei Giornalisti per la battuta, Vauro è stato nuovamente inquisito dal medesimo, per essersi presentato alla relativa audizione vestito da fraticello.
Episodio minore, che tuttavia ci ha fatto riflettere sullo stile che alcuni esponenti dell’intellighenzia comunista amano utilizzare nella polemica politica. Di Vauro abbiamo già detto: quando fu ucciso Fabrizio Quattrocchi fece una vignetta con un dollaro a mezz’asta. E’ satira, si disse. Può essere. Poi, il giornale di Vauro, per commentare l’elezione a papa di Joseph Ratzinger, lo definì “il pastore tedesco”. Spiritosi, si disse. Può essere pure quello. Poi, un clone di Giuliana Sgrena (stessa parrocchia, of course) scrisse che i marines usavano i bambini iracheni “come scudi”, mentre distribuivano loro le caramelle. Nessuno parlò di satira. Da ultimo, il bel titolone sulla nomina di John Bolton ad ambasciatore statunitense all’Onu: “Quest’uomo è un killer”, che ha trovato la pronta replica di Christian Rocca, che sottoscriviamo in toto.
Quale è la sottile linea di confine tra satira, polemica politica ed un altro, che non sapremmo definire? L’invettiva è un genere letterario: ce lo hanno insegnato gli scritti di Oriana Fallaci degli ultimi anni. Aveva pure tentato di affermarlo la “teppistella ignorante” Sabina Guzzanti (per usare la pregnante definizione di Giuliano Ferrara), ma è stata colta con le mani nel vasetto della marmellata dei contribuenti, ed il suo Raiot non è mai andato in onda sulle reti del cosiddetto Servizio Pubblico. Certo, anche Luttazzi faceva satira quando invitava alle proprie trasmissioni, sempre rigorosamente in Rai, il noto comico Travaglio, per accusare Berlusconi, senza contraddittorio alcuno, di mafiosità e partecipazione al massacro di Wounded Knee.
Ma se la satira è genere letterario, il free speech o è di sinistra o non è? Ci ricordiamo ancora, anni addietro, quando Vittorio Sgarbi fu pubblicamente linciato per aver sbraitato, all’indirizzo del compianto Federico Zeri, “ti auguro di morire!”. Eppure, quella era la forma suprema di invettiva, l’anatema.
In attesa di scorgere all’orizzonte la sagoma di una Ann Coulter italiana, suggeriamo ai nostri lettori di pensare ad una qualche applicazione del genere nei confronti delle truppe di Progresso. Nessuno dovrebbe scandalizzarsi: l’egemonia culturale della sinistra si contrasta anche utilizzando i loro stessi canoni letterari. Ma all’estrema sinistra sono maestri non di sola satira: per sincerarsene basta riguardarsi questa splendida prima pagina del manifesto (sempre lui) del 3 novembre 2004. Anche la leadership della comicità è assicurata.