…Ma non chiamatelo stato-canaglia

Il frastuono mediatico, provocato dalle idiozie di Pat Robertson, ha finito col distrarre l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale dalle ultime imprese di Hugo Chavez e del suo regime. L’ultima, in ordine di tempo, è il tentativo di imporre la presenza di due funzionari dello stato nei consigli d’amministrazione delle banche che operano in Venezuela, siano esse domestiche o estere. La misura coinvolgerebbe anche istituti spagnoli, quali il Bbva ed il Banco Santander che in Venezuela controllano, rispettivamente, Banco Provincial e Banco De Venezuela. La mossa fa parte della strategia chavista per la realizzazione del “socialismo nel Ventunesimo secolo”, che prevede il progressivo controllo e condizionamento sull’erogazione del credito, come in ogni progetto rivoluzionario che si rispetti. La presenza di funzionari governativi permetterebbe di orientare l’erogazione del credito, e di rafforzare il sistema di premi e sanzioni per le aziende che tardassero ad introdurre il nuovo precetto chavista, che prevede che almeno il 20 per cento degli organismi aziendali di indirizzo e controllo debba essere riservato ai lavoratori. Ma questa è solo la punta dell’iceberg: qualche settimana fa, il parlamento ha approvato una legge che autorizzerebbe il governo a ritirare dalla banca centrale i 30 miliardi di dollari di riserve, per destinarli a spesa sociale. Nel frattempo, il processo di trasformazione del Venezuela in uno Zimbabwe sudamericano prosegue a passo spedito. Giorni addietro una chiesa, situata a sudest di Caracas, gestita dai Salesiani, è stata invasa e confiscata da una delle Unidades de Batalla Endógenas (UBE), un’invenzione di Chavez per supportare un “nuovo modello di sostegno popolare” al regime. In essa è stata posta una guarnigione della Guardia Nazionale, nel più completo spregio degli accordi concordatari tra Vaticano e Venezuela.

Ma Chavez, nel tentativo di creare un quadro normativo legale che giustifichi gli espropri, ha fatto approvare lo scorso gennaio una legge che stabilisce le modalità in base alle quali è possibile procedere a sequestri ed espropri “in nome del popolo”. Tra tali requisiti figura quello dello “stato di abbandono” di fabbriche, fattorie e strutture produttive. E proprio la copertura di questa legge ha permesso il sequestro di un impianto della statunitense Heinz, principale produttore mondiale di ketchup, avvenuto il 5 settembre nello stato di Monagas. L’impianto, acquisito nel 1996, era effettivamente non in esercizio a causa di un contenzioso che oppone l’azienda statunitense ai fornitori locali di pomodori, ma difficilmente si sarebbe potuto definire “abbandonato”. In precedenza, il governo aveva sequestrato un impianto del Polar Group, principale gruppo industriale del paese, in circostanze assolutamente singolari: uno degli impianti di produzione di farina bianca era stato disattivato, nel tentativo di consolidare l’attività produttiva in un settore (quello delle farine) che sta venendo progressivamente disintermediato dall’importazione diretta da parte del governo. L’impianto è stato confiscato senza preavviso alcuno.

Appare chiaro che, in Venezuela, l’unica legge in vigore è ormai quella della giungla, dopo l’approvazione di una Costituzione-farsa, avvenuta ad opera di un’Assemblea Costituente in cui 96 membri su 100 erano fantocci di Chavez. Oggi, il regime controlla un simulacro di parlamento ma, soprattutto, controlla il potere giudiziario, proseguendo nella propria strategia di occupazione dei gangli vitali del paese.

Ma qualcosa è andato storto nella strategia chavista di controllo pervasivo delle fonti di informazione, come dimostra il rapporto, pubblicato dalla Direzione per i diritti fondamentali del Ministero della Giustizia. Da gennaio 2000 al 31 luglio 2005, ben 6.127 (seimilacentoventisette) cittadini venezuelani sono deceduti in “circostanze non chiare” durante interrogatori svolti dalle forze di polizia (nazionale, municipale, dei servizi segreti e di altri corpi di polizia non identificati). Dei seimila agenti coinvolti negli episodi e denunciati, appena 1315 sono stati inquisiti, 517 incriminati e solo 88 condannati. In qualunque paese mediamente democratico, una simile denuncia avrebbe provocato la rimozione dei responsabili delle forze di polizia coinvolte, e l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta. Non in Venezuela, dove l’attività dell’Assemblea Nazionale è stata di recente interamente assorbita dall’ascolto delle abilità tribunizie di Jesse Jackson, in un processo ideologico “in nome del popolo sovrano ed oppresso”, al prigioniero inesistente, George W. Bush.

Ma il paese che sta riuscendo nell’impresa di dare tangibilità anche fisica allo slogan “Patria o Muerte!” (per mano di forze di polizia sempre più simili agli squadroni della morte di caraibica memoria), è anche attivamente impegnato sul fronte della politica estera.
Sempre più spesso, aerei militari venezuelani sorvolano i territori delle Antille Olandesi, mentre monta la retorica del ritorno alla “madrepatria” di quelli che non solo sono a tutti gli effetti possedimenti olandesi, ma la cui popolazione, composta in prevalenza da discendenti di popolazioni africane o meticci euro-africani, non ha mai, in alcuna circostanza, tramite i propri rappresentanti politici, espresso il desiderio di secessione dall’Olanda, né ha nulla a che spartire con etnie e storia venezuelana.

Ma la strada di Chavez verso la dittatura comunista non appare in discesa. Malgrado egli provenga dalle fila dell’esercito, le forze armate sono sempre più nervose nei confronti della svolta guevarista di Palazzo Miraflores. E’ vero che la rendita petrolifera venezuelana è stata storicamente male distribuita, ma essa ha comunque contribuito alla formazione di una robusta classe media, che mal si attaglia ad una prospettiva di repubblica popolare, o più propriamente di satrapia comunista. Il sempre più evidente fiancheggiamento che il regime sta offrendo ai ribelli colombiani narcotrafficanti delle FARC, sta suscitando più di un mal di pancia nelle forze armate di Caracas e Chavez, consapevole di ciò, sta progressivamente creando delle milizie paramilitari di confine, rigorosamente definite “popolari”, la cui spina dorsale è rappresentata dagli ubiqui consiglieri militari castristi, per bypassare l’esercito regolare.

L’elevato prezzo del petrolio sta certamente contribuendo all’ipertrofia della metastasi chavista, che rischia di infettare tutto il continente sudamericano. Un monito per l’Amministrazione Bush, affinché prenda finalmente coscienza che dittature come Venezuela ed Iran stanno diventando sempre più aggressive anche e soprattutto per effetto dell’imponente rendita petrolifera di cui godono, e decida finalmente di modificare la propria politica energetica. L’Europa, come sempre, brilla per azioni ed omissioni: alla prima categoria appartiene l’idolo di Marco Pannella, Bambi Zapatero, che ha già iniziato a vendere armi a Caracas. In attesa che il primo Diliberto di turno canti le gesta di Chavez, magari durante una visita di stato in qualità di ministro, il prossimo anno, la sinistra italiana prosegue alacremente nelle sue elaborazioni programmatiche di politica estera.

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