Il ddl sulle infrastrutture ha stabilito di abolire l’Ici sugli immobili della Chiesa anche quando questi siano adibiti ad uso commerciale. L’esenzione è applicabile per attività di assistenza e beneficenza, di educazione e cultura “pur svolte in forma commerciale se connesse a finalità di religione o di culto”.
In aula al Senato, dopo una richiesta di verifica, la commissione Bilancio ha dato parere negativo sulla copertura di un emendamento del senatore Lucio Malan (Fi) che proponeva di estendere le esenzioni anche alle altre componenti religiose riconosciute dallo Stato italiano. Secondo il diessino Enrico Morando, che ha consultato i tecnici del Comune di Roma, l’approvazione dell’abolizione dell’Ici sugli immobili religiosi anche se con fini commerciali, costerà alla giunta Veltroni 5 milioni di euro in meno l’anno. Secondo Morando, tenendo conto che si tratta di una norma interpretativa, cioè con effetti retroattivi dal 1993 ad oggi, per il solo Comune di Roma l’emendamento provocherà una scopertura di bilancio di 300 milioni di euro. Questo provvedimento ci lascia perplessi, per più di un motivo. In primo luogo, il fatto che la maggioranza parlamentare decida di devolvere ulteriori risorse economiche alla chiesa cattolica, in aggiunta al gettito dell’otto per mille che, come noto, si basa su meccanismi che moltiplicano l’attribuzione di fondi rispetto alle effettive preferenze espresse dai contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi. Ci chiediamo se queste erogazioni aggiuntive rientrino (ed in che modo) nell’ambito degli accordi concordatari. Inoltre, lascia piuttosto perplessi il fatto che l’aula abbia deciso di rigettare l’emendamento che individuava le fonti di copertura per estendere tale agevolazione anche alle altre confessioni riconosciute dallo stato italiano. Sarebbe interessante conoscere l’entità dell’onere di copertura aggiuntiva richiesto da questo emendamento, a lume di logica non dovrebbe essere stato proibitivo. Questo provvedimento di esenzione, poi, sottrae risorse fiscali ai comuni, ed appare perlomeno intempestivo rispetto all’impianto generale della legge finanziaria, che già prevede tagli del 6.7 per cento sui trasferimenti ai comuni (sui quali ci siamo già espressi). In luogo di simili estemporanee iniziative, che inducono a dubitare dell’effettiva separatezza tra stato e chiesa in Italia, sarebbe preferibile ed auspicabile l’introduzione di meccanismi di defiscalizzazione delle contribuzioni private (quindi su base volontaria) alle istituzioni religiose.
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