Immagina di essere una donna. Quando nasce tuo fratello, le persone dicono: “E’ nato un bambino grazie a Dio!”. Quando nasci tu, invece, esclamano: “E’ una femmina, ma se questa è la volontà di Dio…”. Ti chiamano “bambina” – usando una forma di diminutivo – e sei la benvenuta al mondo se sei la prima o la seconda, l’importante è che poi non ci siano più figlie femmine, perché ciò non sarebbe auspicabile per la madre. Mentre i tuoi fratelli sono sempre bene accetti: più sono e meglio è.
Immagina di essere una donna. Hai sempre bisogno del consenso del tutore e questo non soltanto per sposarti, come preteso dai giudici della materia islamica, ma per ogni aspetto della vita quotidiana. Non puoi studiare se non con il consenso del guardiano, anche se sei una dottoranda. Non puoi ottenere un impiego e nemmeno guadagnarti da vivere senza il suo permesso. Nonostante tutto ciò, c’è ancora chi non si vergogna di affermare che la donna deve ricevere il benestare per poter lavorare anche nel settore privato.
Immagina di essere una donna. Il guardiano che ti accompagna in ogni luogo è tuo figlio che ha raggiunto i quindici anni o un tuo fratello, che si accarezza la barba prima di darti il permesso e dice: “Che ne dite, uomini, dovrei acconsentire?”. A volte chiede una ricompensa in cambio, ma sia mai! Tuo fratello si rifiuta di prendere dei contanti, perché il suo orgoglio e il rispetto per se stesso gli vieta di prendere soldi da una donna. Per questo preferisce ricevere ricompense sotto forma di macchina, frigorifero o di un’assicurazione a rate, fino a quando Allah lo toglierà fuori dalle restrizioni economiche.
Immagina di essere una donna. Se subisci un assalto personale, percosse o sei vittima di un omicidio, quando i giornali pubblicheranno la tua foto assieme a quella dei colpevoli con la descrizione del reato, ci sarà ancora chi si chiederà se la vittima portava o meno il velo. Se lo indossava allora domanderanno: “Ma chi l’ha fatta uscire di casa a quell’ora?”. E se invece è stato tuo marito a romperti le costole, allora esclameranno: “Avrà avuto un buon motivo per farlo!”
Immagina di essere una donna. Tuo marito ti ha rotto il naso, o un braccio, o una gamba e vai dal Qadi (giudice, ndr) a lamentarti. Lui ti chiederà dell’accaduto e gli risponderai: “Mi picchia”. Allora il giudice ti dirà con un tono di disapprovazione: “Tutto qui?!”. Le percosse sono pertanto considerate una realtà che vivono tutti i coniugi e gli amanti: “Picchiare l’amata è come mangiare l’uva”.
Immagina di essere una donna. Per sbrigare le tue commissioni giri con una Limousine, guidata da un autista indiano o dello Sri Lanka, e senti l’odore dei suoi vestiti che intravedi tra i sedili della macchina. Oppure puoi aspettare che tuo fratello minore ti accompagni a lavoro. Potresti anche chiedere a qualcuno di insegnarti a guidare la tua auto, ti eserciti a tue spese e ti impegni per mesi a imparare le strade fino all’esasperazione, finché non ti rendi conto che non ti è permesso guidare.
Immagina di essere una donna. Nel ventunesimo secolo, vedi le fatwe emesse da alcuni giuristi islamici contemporanei sulle regole per prendere le donne dei nemici di guerra, fatti prigionieri, e avere rapporti sessuali con loro. Poi scopri altre fatwe di altri giuristi su come prendere queste donne anche in tempo di pace e non sai più a quale donna del nemico si riferisca.
Immagina di essere una donna che scrive su un giornale. Ogniqualvolta tratti le preoccupazioni femminili – le vostre vicissitudini, le vostre carenze, le vostre battaglie, le vostre condanne e i vostri processi – dicono di te: “Lasciatela perdere, tutto ciò che racconta sono solo discorsi da donne!”
Badriya al-Bishr
Asharq al-Awsat (quotidiano indipendente con base a Londra, di proprietà saudita)
09/10/2005
(Badriya al-Bishr è docente di scienze sociali all’Università King Saud in Arabia Saudita)
Trad. Cecilia Fazioli
Via Arabiliberali.it