Il Partito Comunista cinese ha lanciato una campagna tra leader politici e personalità accademiche per tentare di modernizzare il marxismo cinese, e riconciliare le stridenti contraddizioni esistenti tra l’ideologia governativa e le ampie e profonde riforme economiche, che vanno in direzione dell’affermazione del libero mercato. Milioni di dollari saranno spesi per aggiornare i testi universitari e delle scuole secondarie nel tentativo, piuttosto surreale, di conciliare marxismo e libera impresa privata. La “rilettura” dei sacri testi marxisti rappresenta parte del tentativo di rivitalizzare il partito, nel quale funzionari di vario grado sono attivamente coinvolti in attività economiche svolte in regime privatistico.
La contraddizione è vissuta più acutamente negli ambienti accademici, dove gli studenti iniziano a disertare le lezioni di marxismo, che alcuni docenti stanno peraltro sostituendo con lezioni sulla filosofia tradizionale cinese, un interessante esempio di come la stratificazione culturale causata dal comunismo non abbia intaccato le radici profonde del modello culturale cinese, che puntualmente riaffiorano. Per parte loro, Hu Jintao ed il premier Wen Jabao insistono sulla “modernizzazione” e sull’ampliamento delle basi teoriche del marxismo, ma senza indicazioni immediatamente operative tranne il solito mantra, secondo il quale la Cina non deve seguire modelli di democrazia occidentale, che per essa rappresenterebbero solo “vicoli ciechi”, nell’ennesima riproposizione della critica all’”imperialismo dei diritti umani”.
Ad oggi, la leadership cinese non ha alcuna intenzione di modificare l’obiettivo strategico vitale della modernizzazione economica, e l’adeguamento ideologico alle mutate condizioni sociali dovrebbe avvenire attraverso un approccio eclettico, che salvaguardi il pensiero di Mao, la dottrina della liberalizzazione di Deng Xiao Ping e la teoria delle Tre Rappresentazioni di Jang Zemin, che sostiene che il partito debba accogliere, nella propria amorevole iconografia, non solo lavoratori e contadini, ma anche capitalisti ed altre figure di leadership. Da questo bizzarro sincretismo, suggerito dall’Accademia delle Scienze Sociali, i cui vertici sono da sempre molto critici verso le riforme economiche di segno liberista, dovrebbe derivare quella che Hu Jintao definisce teoria dell’armonizzazione. E proprio da questa aporia sorge la principale sfida per la Cina: proseguire su questo stretto crinale tra liberalizzazioni economiche spinte e ferrea presa del partito sulla società, gestendo le problematiche dell’inurbazione e degli squilibri reddituali che l’adozione di un’economia di mercato implica. Secondo alcuni analisti occidentali, questa rielaborazione dottrinaria ricorda la nascita della Riforma Protestante (e della successiva Controriforma): le pressioni economiche spingono alla revisione del modello culturale dominante, anche per frutto di ribellismo di parti della società, per renderlo più flessibile ed adattarlo al mutato contesto dei rapporti sociali. Ma forse anche questa è un’interpretazione di matrice marxista…