Secondo la People’s Bank of China, alla fine del 2005 la consistenza dei depositi bancari riconducibili ai privati (cioè il risparmio delle famiglie) ha raggiunto il record di 14 trilioni di yuan (circa 1.72 trilioni di dollari). Questo dato indica che, nel complesso, i cinesi sono certamente divenuti più ricchi. Ma il rapido accumulo di depositi evidenzia anche la riluttanza a spendere, come confermato anche dal fatto che il tasso di consumo è in calo per il quinto anno consecutivo. Troppi depositi creano fondi improduttivi, e se le banche non trovano modi alternativi per riassorbire l’eccesso di risparmio, l’esito sarà un aumento di pressioni e squilibri nell’economia. Nel 2005, i prestiti erogati dal sistema bancario cinese sono stati pari ad un misero 53 per cento della raccolta di depositi, contro il 91 per cento di un decennio fa, quando evidentemente il denaro fluiva in modo più armonico in un sistema produttivo che non aveva ancora iniziato il proprio “Grande Balzo in avanti” economico.
Per contrastare questo ristagno della liquidità, la banca centrale cinese ha tagliato lo scorso marzo il tasso di remunerazione delle riserve bancarie in eccesso, da 1.62 a 0.99 per cento, nel tentativo (vano) di indurre le famiglie cinesi ad aumentare i consumi, mentre i forti vincoli governativi all’erogazione del credito, imposti per evitare il surriscaldamento di alcuni settori produttivi, limitano le banche nella loro tradizionale funzione di intermediazione del risparmio privato.
Ci sono due modi per correggere l’eccesso di risparmio domestico: uno consiste nell’incoraggiare le famiglie a consumare di più, l’altro nel creare nuovi ed innovativi canali d’intermediazione finanziaria, che permettano di migliorare l’allocazione del risparmio. Più facile a dirsi che a farsi, poiché le due soluzioni, per essere efficaci, necessitano preliminarmente di modifiche alla struttura creditizia e (soprattutto) sociale del paese. Oggi, i cinesi sentono il peso dell’accresciuta incertezza sul proprio avvenire economico: gli elevati costi sostenuti per vedere un medico, comprare una casa, crearsi una pensione o fornire ai propri figli un’educazione di qualità si riflettono in un forte aumento del tasso di risparmio, come del resto suggerito dalla teoria economica. Paradigmatico è il problema dell’acquisto dell’abitazione: anche in città di dimensioni non elevatissime, quali Hangzhou, Wenzhou o Ningbo, occorrono in media 27 anni del proprio reddito disponibile per acquistare un appartamento di 80 metri quadri. Inoltre, rispetto al 1999, il costo medio della frequenza alle scuole superiori è balzato da 51.000 a 131.000 yuan. Il problema dell’impiego del risparmio colpisce in modo differenziato la popolazione, pur producendo lo stesso effetto finale. I meno abbienti risparmiano per i motivi visti sopra, mentre i ricchi lo fanno per manifesta mancanza di alternative all’impiego del proprio risparmio, causata da un sistema finanziario ancora del tutto sottosviluppato, soprattutto se raffrontato alla imponente crescita dell’economia verificatasi negli ultimi anni. Il mercato azionario non va bene, a causa dell’eccesso di capacità produttiva accumulata negli ultimi anni, per effetto di un sovrainvestimento causato dall’assenza di un vero mercato del credito, capace cioè di razionare in modo efficace ed efficiente i fondi disponibili; quello immobiliare è ormai prossimo a sviluppare bolle speculative in molte aree del paese; e la possibilità di ridurre i tassi per incentivare il consumo è troppo rischiosa per essere presa in considerazione, oltre ad essere palesemente in conflitto con le attese internazionali di una rivalutazione dello yuan.
L’eccesso di risparmio domestico è alla base del forte surplus commerciale cinese, che porta con sé le ormai abituali geremiadi occidentali sulla concorrenza sleale cinese. Recriminazioni piuttosto ipocrite, se guardate con un paio di lenti liberoscambiste: il flusso di esportazioni dalla Cina è, in misura sempre più rilevante, frutto dell’investimento diretto estero (occidentale e giapponese) nel paese, per sfruttare i minori costi di produzione. Ciò consente di mantenere bassi i prezzi dei beni esportati, a tutto beneficio dei consumatori dei paesi di destinazione, che in tal modo riescono ad aumentare il proprio potere d’acquisto. Inoltre, la sottoscrizione da parte cinese dei titoli del Tesoro americano contribuisce a contenere l’ascesa dei tassi d’interesse incentivando, tramite il leverage finanziario, i consumi delle famiglie statunitensi.
Le autorità cinesi hanno ripetutamente espresso l’orientamento strategico di annullare il surplus commerciale, attraverso lo stimolo dei consumi domestici. Ciò potrà essere ottenuto attraverso la creazione di un sistema di welfare, che riduca l’incertezza sugli esborsi futuri per salute, abitazione, previdenza ed istruzione, e consenta quindi di aumentare la propensione al consumo delle famiglie. Non male come contrappasso, per un paese che insiste a definirsi comunista.
L’incremento della capacità d’intermediazione finanziaria necessiterà di compiere passi verso la creazione di un mercato creditizio di tipo occidentale, dove il tasso d’interesse è frutto della libera interazione tra domanda ed offerta, cioè tra soggetti in surplus finanziario ed altri che sono prenditori netti di fondi. Il paese dovrà quindi abbandonare la centralizzazione dell’allocazione dei fondi, che oggi rappresenta la principale fonte di inefficienza e spreco nell’impiego del risparmio. In parallelo, dovranno essere ulteriormente rilassati i vincoli all’esportazione di capitali per i cittadini cinesi, che potranno in tal modo cogliere sui mercati internazionali le opportunità d’impiego del proprio risparmio oggi inesistenti sul mercato domestico. Come si può constatare, si tratta di altri passi verso l’aumento della divergenza strutturale tra economia e politica.