Quella delle esternazioni estere rappresenta ormai una consolidata tradizione dei politici italiani. Sia essa dettata da provincialismo, incontinenza verbale, scarso bon ton istituzionale, o dal tentativo di lanciare dei ballon d’essai ad uso di politica interna, contando magari sull’alibi della traduzione imperfetta, sta di fatto che neppure il presidente della repubblica è riuscito a sottrarsi al rito. In un’intervista al domenicale della Frankfurter Allgemeine, Napolitano parla della politica estera (?) dell’Unione ma esprime valutazioni anche sulle liberalizzazioni. Sul rifinanziamento della missione italiana in Afghanistan, il capo dello stato ribadisce le proprie preoccupazioni:
“Se la maggioranza di governo non fosse coesa sulla questione della prosecuzione e del finanziamento della missione afgana, e dovesse dipendere da voti decisivi dell’opposizione, ciò sarebbe un grave segno di debolezza del centrosinistra. E ciò avrebbe delle conseguenze”.
Napolitano ribadisce l’amicizia della sinistra italiana verso gli Stati Uniti quale caposaldo della politica estera italiana, che daterebbe addirittura da un trentennio, dai tempi del Pci. Sorprendente, tuttavia, è l’approccio liquidatorio da egli usato verso la sinistra antagonista:
“Trent’anni dopo vi sono alcuni piccoli gruppi che mostrano ostilità verso gli Stati Uniti e la Nato”. L’intervistatore della Frankfurter gli fa notare che “Rifondazione comunista è pur sempre la terza forza della coalizione di governo”. E Napolitano risponde: “Ma, come detto, sono solo piccoli gruppi su posizioni anacronistiche, prive di realismo e con scarso seguito”.
Mirabile wishful thinking. Napolitano non è uno sprovveduto, e certamente non necessita di una formazione quantitativa per rendersi conto che, senza i “piccoli gruppi anacronistici”, il governo Prodi non avrebbe neppure visto la luce. Forse il presidente desidera fornire un’immagine di affidabilità dell’Italia all’estero, puntellando al contempo la strategia dell’asse privilegiato tra diesse e Margherita, nucleo del futuribile partito democratico: si lascia alla sinistra antagonista il contentino di qualche intervento simbolico che s’iscriva nel solco della vendetta sociale, quale la reintroduzione dell’imposta di successione o le tasse sui Suv, e si lavora per accreditarsi quale forza occidentale e modernizzatrice.
Peccato manchino i numeri e la determinazione politica. Prodi, Fassino e Rutelli non sono Mitterrand, e non riusciranno a liquidare i partiti della sinistra radicale come invece riuscì al presidente francese nei confronti di Georges Marchais. A ben vedere, il segretario del Pcf era stretto alleato di Enrico Berlinguer nella fumisteria dell'”eurocomunismo”: l’italiano sopravvisse e si rafforzò politicamente; il francese sparì inghiottito, assieme a larga parte del proprio elettorato, dai gorghi del mitterrandismo. In tempi a noi più vicini, merita segnalare la strategia (o più propriamente la dignità politica) di Gerhard Schroeder. L’ex cancelliere tedesco avrebbe potuto attuare un’operazione simile a quella di Prodi: una grande ammucchiata di riformisti, sedicenti socialdemocratici, verdi, cattolici progressisti, comunisti, neodemocristiani imbullonati agli strapuntini ministeriali. Per ottenere ciò, gli sarebbe bastato imbarcare il Linkspartei degli arruffapopolo Gysi e Lafontaine. Non lo ha fatto, affermando pubblicamente che la Spd non è compatibile con l’avventurismo onirico-comunista. Oggi, serve a ben poco affermare che il Prc e gli altri sono una quantité negligéable della maggioranza, quando in realtà essi ne condizionano alla radice le scelte politiche, come dimostra l’indecente minuetto sull’Afghanistan. Napolitano tocca anche il tema delle liberalizzazioni. Si dice
“Convinto che la grande maggioranza dei cittadini italiani veda la necessità di introdurre un processo di liberalizzazioni e anche di privatizzazioni. (…) In passato “ci fu troppa invadenza dello Stato nell’economia, e la maggior parte dei cittadini sa che questo non poteva reggere. (…) Vengono colpiti interessi di gruppi più o meno piccoli, ma ben organizzati, che vogliono difendere alcuni dei loro privilegi”. (…) Tutti dobbiamo imparare che, senza cambiamenti, siamo condannati al declino”.
Ecco il punto politico della vicenda. Il governo ha deciso di colpire gruppi “più o meno piccoli” per miope calcolo politico, o solo perché da qualche parte si doveva pur iniziare? Confidiamo nella seconda ipotesi, visto che tentare di introdurre delle “liberalizzazioni selettive” in un quadro di conservazione dello status quo, ad esempio nel mercato del lavoro e nella struttura della contrattazione collettiva, porterebbe ad una rapida implosione del sistema-paese. Confidiamo parimenti che questa fase di decisionismo governativo conduca a contraddizioni tali da denudare il re della concertazione, che altro non è se non il trionfo della corporativizzazione e degli interessi particolari su quelli generali. Perché è possibile prendere in giro una persona molte volte, oppure molte persone una sola volta. Ma è improbabile riuscire a raggirare molti per molte volte.