Federalismo diplomatico

La vicenda dell’ampliamento della base militare statunitense di Vicenza sta assumendo, come era facilmente prevedibile, i tratti dell’ennesima farsa allestita da governo e maggioranza. Ieri Romano Prodi ha dato il via libera all’ampliamento ricorrendo a motivazioni sconcertanti, quali il fatto che il governo italiano non avrebbe competenza sulla materia, e definendo la vicenda non “un problema di natura politica”, bensì nientemeno che “una questione di carattere urbanistico-territoriale“, di fatto rimettendo la decisione ultima al sindaco di Vicenza.

Prodi, in sostanza, ha preferito non decidere e mantenere lo status quo, cioè la decisione del precedente governo, anche per non deteriorare ulteriormente i rapporti con l’Amministrazione statunitense, dopo le ultime levate del ditino moralista dalemiano. Ma lo ha fatto nel modo grottesco che la sua democristianità irrancidita gli ha consentito: derubricando un problema di alleanze internazionali allo status di una zona a traffico limitato, di un parco pubblico o della tassa sui rifiuti solidi urbani, in uno sconcertante “federalismo diplomatico”, nel futile tentativo di non inimicarsi la sinistra radicale. Non a caso, Prodi si è di fatto allineato alla paradossale proposta dell’ormai afasico Fassino: far esprimere in materia i vicentini con un referendum. Così facendo, il governo ha di fatto scaricato sul comune di Vicenza una questione molto delicata di politica internazionale, esponendo quella municipalità allo stato d’assedio (politico e fisico) della sinistra radicale, puntualmente verificatosi con il blocco della stazione di ieri sera e con le dichiarazioni di questa mattina della terza carica dello Stato, che evidentemente proprio non riesce a comprendere che non è più un capopartito né un hooligan no-global.

Pronta ed ineccepibile, sul piano istituzionale, politico e (soprattutto) logico, la replica del sindaco di Vicenza, Enrico Hullweck:

“Il consiglio comunale di Vicenza ha votato un ordine del giorno perchè legalmente non poteva fare altro in quanto ci sono tre leggi italiane che delegano l’intera competenza in materia al Governo. Il comune, gli enti locali, non possono fare nulla. La parola spetta al Governo. Lo stesso discorso vale per il referendum: il referendum locale per legge può esserci solo su una materia di competenza locale. Questa non lo è.”

Prosegue quindi la “sindrome Nimby” dell’estrema sinistra, che ha già regalato all’Italia la paralisi sulla Tav, rigassificatori e termovalorizzatori, che continuano tuttavia ad essere parte integrante delle brochures patinate prodotte dai conclavi unionisti. Ancora una volta, la sinistra radicale ricorre all’espediente fintamente democratico del voto “popolare” per amplificare la propria consistenza elettorale e fare leva su timori e pulsioni dell’elettorato. Il tutto con l’acquiescenza dei riformisti alle vongole della coalizione di maggioranza, il nerbo del futuribile (e futile) partito democratico, in un tripudio di cialtroneria politica che non ha pari nella storia italiana recente. E’ ora fin troppo facile prevedere che la sinistra radicale proverà a ricattare il governo al momento del rifinanziamento della missione militare in Afghanistan, peraltro ormai ridotta ad una finzione, visti i tali e tanti limiti operativi che il governo ha posto all’azione dei nostri militari.

L’unico auspicio, in tale circostanza, è che non vi sia alcun puntello parlamentare del centrodestra al momento di quel voto, perchè non avrebbe senso soccorrere una maggioranza che sta ormai palesemente tentando di provocare la fuoriuscita dell’Italia dal sistema di alleanze internazionali in cui si trova da oltre sessant’anni, e che certamente prescindono dalla contingenza di quale Amministrazione sieda alla Casa Bianca. Meglio la chiarezza di una crisi, diplomatica internazionale e politica interna, che il sostegno all’opera di sistematica erosione dell’atlantismo italiano attuata da un piccolo gruppo di estremisti con la complicità (per azioni ed omissioni) di un governo irresponsabile.

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