Rieducare Catricalà

Paese davvero bizzarro, l’Italia. Il presidente dell’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato (per gli amici, Antitrust) si è permesso, nei giorni scorsi, di sollevare dubbi su quella norma del disegno di legge Gentiloni sul riassetto del sistema dell’emittenza e la transizione al digitale, che prevede l’imposizione di un tetto massimo del 45 per cento per la raccolta pubblicitaria di un singolo operatore. Le motivazioni di Catricalà sono piuttosto lineari: per il presidente dell’Antitrust non sarebbe opportuno, dal punto di vista dell’efficienza del mercato, una definizione per legge della posizione dominante, perchè ciò dovrebbe essere frutto di un’istruttoria caso per caso, che spetta all’autorità competente sulla base di una molteplicità di informazioni sulle condizioni del mercato, e non solo delle quote detenute dalle imprese. Per Catricalà, meglio sarebbe tornare nell’alveo della Legge Maccanico, che poneva un tetto ai ricavi degli operatori televisivi pari al 30 per cento ma relativi ad una base di calcolo ben più ampia, che comprendeva pubblicità, canone Rai, convenzioni e abbonamenti della pay-tv. Una legge che salvaguardava lo sviluppo interno delle aziende e le esigenze di pluralismo.

Certo, come giustamente evidenziato da Catricalà, la Legge Maccanico è stata scritta sotto uno scenario tecnologico e competitivo assai meno complesso dell’attuale, ma la sua filosofia di fondo appare ancora attuale, e potrebbe essere recuperata integrandola con una migliore regolamentazione dell’accesso alle frequenze, vero snodo cruciale dell’antitrust nell’emittenza. Il disegno di legge Gentiloni, per contro, appare motivato da un’unica esigenza: la disarticolazione e lo smantellamento di Mediaset.

Che oggi, sullo scenario globale, non appare esattamente un gigante, se raffrontata con un global player quale Sky. Per Catricalà, la fissazione di tetti che si risolvono in limiti alla capacità di crescita delle imprese rischia di non conseguire gli obiettivi che si propone, ma anche di frenare l’innovazione tecnologica.

Apriti cielo. La gioiosa macchina da guerra progressista sta già girando a pieno regime per rieducare il reprobo Catricalà. E’ di ieri il via ufficiale al manganellamento mediatico, dato dal solito capo-popolo Beppe Giulietti, e ripreso oggi su Repubblica da Giovanni Valentini, uno dei superfalchi anti-Cavaliere all’interno del gruppo Repubblica-Espresso, che scrive un articolo di fuoco contro il povero Catricalà accusandolo, con scarsa fantasia, di essere un arbitro che tira in porta, manco fosse l’Anm che manda avanti il Csm a mettersi di traverso durante i lavori parlamentari per la riforma della magistratura, in palese violazione delle attribuzioni costituzionali dell’organo di cosiddetto autogoverno dei giudici, e non solo di loro, evidentemente.

Colpa gravissima, questa di Catricalà, soprattutto perchè ai nuovi liberalizzatori socialisti piacciono molto gli arbitri che tirano nella porta di Berlusconi e del centrodestra, al punto da voler far sbocciare nel nostro neoliberalizzato paese dieci, cento, mille authorities, da usare come randelli nodosi contri i nemici, in nome di un non meglio specificato mercato.

Ma Valentini riesce anche a fare grande sfoggio di ignoranza e, con grande sprezzo del ridicolo, giunge a compitare questo autentico babà:

Se non si può porre un “tetto” alla raccolta pubblicitaria, perché questo – secondo il ragionamento di Catricalà, definito “assolutamente falso” da una durissima nota di Palazzo Chigi – è il fatturato di un’azienda televisiva, allora non si può porre un “tetto” ad alcun fatturato di alcuna azienda. E allora tanto vale abolire il mercato, abolire la normativa antitrust e abolire di conseguenza anche l’Authority.

Sappiamo bene, invece, che dagli Stati Uniti all’Europa, al di là e al di qua dell’Oceano, proprio questa è la funzione delle autorità indipendenti (cioè non dipendenti dal potere politico ed economico) chiamate a garantire appunto la libera concorrenza: valga per tutti il caso di Bill Gates e della sua Microsoft, per fare soltanto l’esempio più recente. Nessuno può impedire evidentemente l’espansione di un’azienda all’interno di un qualsiasi settore. Ma quando la sua crescita ammazza i competitors, quando un’azienda assume o detiene posizioni dominanti, quando realizza una condizione di monopolio o di duopolio, come nel caso della tv pubblica e privata in Italia, è chiaro che si determina una situazione critica, incompatibile con il regolare funzionamento del mercato.

Abituale lip service agli Stati Uniti, che ben si attaglia col ritrovato neoliberismo socialista di questa  maggioranza, alla democrazia economica ed al capitalismo (nientemeno), ed altrettanto immediato scivolone sul primo principio di qualsiasi antitrust al mondo degno di tale nome: non è l’assunzione di posizioni dominanti a dover far scattare provvedimenti di ripristino della normale dinamica competitiva, bensì il suo abuso.

Assai interessante e condivisibile anche la denuncia dell’asserito duopolio esistente in Italia tra Rai e Mediaset (mentre Sky Italia è notoriamente una Onlus). Ma allora perchè il ddl Gentiloni non comprende tra le risorse di sistema anche il canone Rai, come già previsto dalla legge Maccanico? Forse che la Rai fa servizio pubblico, e quindi giustifica il pagamento di un canone? No, la risposta è molto semplice: perchè il ddl Gentiloni non fa antitrust, fa regolamento di conti, e serve anche a liberare una grande fetta del maturo (e quindi poco rischioso) mercato pubblicitario per permettere ai datori di lavoro di Valentini, l’Ingegnere ed il Principe, di entrare in forze nel mercato televisivo italiano.

Tornando al povero Catricalà, che fa antitrust secondo scienza e coscienza, e si permette impunemente di suggerire al legislatore le tecnicalità a suo giudizio migliori per tutelare pluralismo e libertà d’impresa, i suoi giorni sulla poltrona dell’Agcm sono contati. Presto verrà sostituito da qualche watchdog di provata fede progressista, magari con master negli States. A nulla varranno i suoi giudizi tecnicamente positivi su altri punti qualificanti del ddl Gentiloni. Il suo peccato originale e (per lui) mortale è l’aver insistito sul carattere punitivo ed economicamente irrazionale di una definizione di tetto di risorse che esclude la Rai da qualsiasi abuso di posizione dominante, compresa l’assurda distorsione della competizione che deriva dalla doppia fonte di risorse (canone e pubblicità) su cui Viale Mazzini può contare per andare in giro per il mondo a comprarsi format di reality show e giochini scemi con scatole e scatoloni, nota funzione di servizio pubblico.  

Ma è il mercato, bellezza. Il mercato de sinistra.

  • Il testo dell’audizione di Catricalà alla Camera sul ddl Gentiloni

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