Il kleenex Bersani

Alla fine dello scorso mese di gennaio, con la presentazione del ddl Bersani sulle liberalizzazioni, il governo aveva menato vanto per l’eliminazione di un costo, generato dai rapporti di affidamento creditizio, considerato vessatorio: la commissione di massimo scoperto. Recitava infatti l’articolo 11 di quel ddl:

“Sono nulle le clausole di massimo scoperto e le clausole comunque denominate che prevedono una remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione di fondi a favore del correntista indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma ovvero che prevedono una remunerazione accordata alla banca indipendentemente dalla effettiva durata del prelevamento della somma”

Oggi, l’articolo 36 del ddl licenziato dalla Camera nei giorni scorsi, e che passa ora al Senato, prevede questa formulazione:

“Sono nulle le clausole contrattuali che hanno per oggetto la commissione di massimo scoperto e le clausole che prevedono una remunerazione alla banca per la messa a disposizione di fondi in favore del cliente titolare di conto corrente indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma o che prevedano una remunerazione per l’istituto di credito indipendentemente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi, salvo che il corrispettivo per il servizio di messa a disposizione delle somme sia predeterminato, insieme al tasso debitorio per le somme effettivamente utilizzate, con patto scritto, non rinnovabile tacitamente e rendicontato al cliente ogni anno. Facoltà di recesso del cliente in ogni momento. Entro 120 giorni dall’entrata in vigore della legge i contratti in corso devono essere adeguati.”

Articolo che non fa altro che certificare la prassi attualmente adottata dalle banche, che già oggi prevede la formalizzazione di modalità di utilizzo del fido e determinazione dell’entità della commissione. Di fatto, non è cambiato nulla. Noi non siamo tra quanti ritengono che la commissione di massimo scoperto sia priva di giustificazione economica, e la sua cancellazione per atto d’imperio ci aveva lasciati perplessi. La via maestra per comprimere gli oneri applicati ai consumatori-utenti resta quella dell’incentivazione della competizione tra attori presenti sul mercato.

Ma nel passaggio parlamentare la lenzuolata Bersani sta inesorabilmente diventando un fazzoletto. Basti pensare al mantenimento in vita del PRA, il cui destino è stato rinviato per stralcio (cioè di fatto accantonato) alla Commissione Trasporti. Oppure all’annacquamento definitivo dell’articolo che aboliva i limiti numerici al rilascio di licenze di trasporto innovativo (dal taxi multiplo alla condivisione dei veicoli), che ora farsescamente prevede che le nuove licenze dovranno essere contrattate con i tassisti a livello locale. Un po’ come chiedere ai tacchini di anticipare il Ringraziamento.

O ancora, nell’ambito del trasporto ferroviario, i parlamentari hanno detto si ad un’accelerazione nella liberalizzazione delle tariffe, ma hanno anche deciso di frenare le norme per definire i rami secchi, perché una stazione ferroviaria in Italia non si nega a nessuno. Prevedibile esito di questa levata d’ingegno sarà l’accentuazione del carattere monopolistico dell’attività di Trenitalia, più libera di agire sulla leva tariffaria senza i vincoli di contestuale contenimento dei costi di esercizio che la concorrenza impone. Ma non temete: fino all’istituzione dell’ennesima Authority, sarà il ministero dei Trasporti a vigilare sul rispetto delle “condizioni di non discriminazione ed apertura alla concorrenza da parte del gestore (Rete Ferroviaria Italiana, ndPh.) nell’assegnazione di capacità ferroviaria“. Tradotto: non ci sono ferrovie private, né ce ne saranno, ma il ministero vigilerà affinché esse non vengano discriminate dal gestore della rete, che è solo fittiziamente separato dal gestore del materiale rotabile.

Tra le altre chicche del “fazzoletto Bersani”, segnaliamo l’introduzione di regime fiscale agevolato sulle imposte sul reddito per “favorire la diffusione dei prodotti del commercio equo e solidale che rispettano i criteri previsti dalle organizzazioni di certificazione del fair trade“. Proviamo a tradurre maliziosamente la lettera di questo articolo: chiunque fondi un’azienda il cui oggetto sociale è quello di importare e vendere i prodotti del commercio equo e solidale riconosciuti tali dalle lobby internazionali a ciò preposte, potrà pagare meno tasse sul reddito aziendale. Non male.

E ancora: il ministro Turco tenterà di cancellare in Senato la norma che ammette la vendita nella grande distribuzione, alla presenza di farmacista, dei farmaci di fascia C. Questo perché il ministro è donna d’onore e di parola, e mesi addietro ha promesso solennemente ai farmacisti che nessun medicinale non da banco sarebbe stato venduto fuori dalle farmacie.

Coraggio, lettore, ancora un piccolo sforzo: in applicazione della logica ultra-corporativa su cui si fonda la Repubblica Popolare Italiana, e per evitare “abusi” (cioè utilizzo da parte di terzi, non appartenenti alla cerchia degli “amici degli amici”, delle agevolazioni fiscali previste dalla legge), le società cooperative dovranno iscriversi ad apposito Albo, sotto pena di decadenza dei benefici previsti in relazione alla loro forma societaria.

Ma il capolavoro ideologico della nostra maggioranza neo-castrista è certamente rappresentato dall’articolo sui servizi idrici, che recita:

Fino all’emanazione della revisione della disciplina della gestione delle risorse idriche e dei servizi idrici integrati (tempo indeterminato, ndPh.), non possono essere disposti nuovi affidamenti a privati. Entro 3 mesi il Presidente del Consiglio dei ministri predispone e trasmette alle Camere una relazione sullo stato delle gestioni esistenti sul rispetto dei parametri di salvaguardia del patrimonio idrico e all’effettiva garanzia di controllo pubblico sulla misura delle tariffe, alla conservazione dell’equilibrio ecologico, alla politica del risparmio idrico e dell’eliminazione delle dispersioni, alla priorità di rinnovo delle risorse idriche e per il consumo umano.

Dove trovare le risorse almeno per ridurre i tassi di dispersione (che in Italia sono mediamente pari al 40 per cento, con punte del 70 per cento nel Mezzogiorno) senza coinvolgimento dei privati non è dato sapere. Il ministro Linda Lanzillotta ha già sommessamente fatto notare che un testo così formulato verrebbe irrimediabilmente cassato dall’Unione Europea e tenterà quindi, in Senato, di introdurne una formulazione meno sovietica.

Se siete maniaci delle liberalizzazioni, e non vi accontentate di avere le panetterie aperte anche la domenica, sappiate che governo e maggioranza hanno pensato anche a voi. L’articolo 59 del ddl kleenex-Bersani, prevede infatti che “entro il 31 luglio di ogni anno il Governo presenta in Parlamento un disegno di legge annuale per la promozione della concorrenza e la tutela dei consumatori“. Previsti anche picnic celebrativi e distribuzione di coccarde e gagliardetti.

Prossima fermata, in ogni senso, il Senato.

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