Vita in provincia

Nelle more delle consultazioni quirinalizie sulla crisi di governo il Corrierone (si fa per dire), che come noto ha una discreta expertise di diagnosi e prognosi politiche, scopre la commissione Attali ed i suoi ectoplasmatici precetti, e rilancia la frusta idea dell’ancor più frusto gruppo di volenterosi bipartisan, pronti a sfornare idee talmente incisive da essere già note a tutti. Sorprende il commento di Fedele Confalonieri, che per una volta mette da parte il suo fattivo pragmatismo lombardo e si lancia in un assai poco informato peana al “decisionista del nulla” d’Oltralpe:

“La Commissione Attali? C’è una differenza fra Italia e Francia: Sarkozy scende giù, entra in macchina, gira la chiavetta e la macchina va. In Italia chiunque scenda, ammesso e non concesso che trovi la macchina, gira la chiavetta e non parte. Qui si deve ricominciare daccapo, per questo parlo di rifondazione”.

Attendiamo che Confalonieri prenda atto e coscienza di quanta parte di queste “chiavette” produrranno scintille. Più realista Giuliano Cazzola:

“Proporrei piuttosto di prendere il rapporto Attali e farlo nostro, avremmo già il programma bell’e pronto, con in più la copertura superiore e bipartisan della partecipazione di Monti e Bassanini”.

Ma anche a lui sfugge che quel rapporto contiene misure già adottate dal governo Prodi, come le finte liberalizzazioni di taxi e notai o il robusto credito d’imposta a favore della ricerca. Il commento più condivisibile viene da Linda Lanzillotta, ministro degli Affari Regionali nel governo Prodi e moglie di Franco Bassanini, membro della commissione Attali:

“Onestamente non credo che abbia dato indicazioni sconvolgenti. Soprattutto per noi italiani che siamo più avanti nel dibattito sulla modernizzazione. Il nostro problema è semmai quello di passare dal dire al fare, sono i poteri di veto che scattano ogni volta che si tentano i cambiamenti. Cosa dobbiamo fare lo sappiamo già: accelerare i meccanismi decisionali, e, dopo queste vicende sulla Sanità, pensare a misure urgenti per ridare fiducia a chi riconosce il merito e la qualità, e tenere fuori dalla politica gli altri. Per non deprimere ulteriormente il Paese.”

Lanzillotta ha perfettamente ragione: in quel rapporto non vi è nulla di epocale, e noi italiani siamo realmente più avanti nel dibattito sulle liberalizzazioni. Sfortunatamente, come Lanzillotta stessa sottolinea, il nostro problema sono i veti al cambiamento. Come quello che ha lasciato marcire in Senato (per espressa volontà della sinistra radicale e dei suoi ideologismi ma con il silente tifo bipartisan), il disegno di legge di riforma delle imprese di servizi pubblici locali. Le municipalizzate-discariche, come le definisce Montezemolo, in cui vengono stoccati (ma non resi inerti) nugoli di politici trombati e famigli di ras locali. Un vero peccato che Lanzillotta, persino sul suo blog, non abbia ritenuto di dover neppure accennare alla sua sfortunata esperienza di “riformista forte”, privilegiando i soliti triti auspici a “lavorare per le riforme”.

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