Come segnala Libero Mercato, che sta conducendo dalla propria nascita una meritoria campagna d’informazione e denuncia su usi ed abusi dei derivati nell’ambito della finanza pubblica locale, lo scorso 27 dicembre la Corte dei conti ha emesso una sentenza, riferita nello specifico all’adozione di un contratto di mutuo ma che rappresenta un potenziale precedente per eventuali cause legate alla stipula di contratti finanziari come gli swap. In tale sentenza la Corte stabilisce che la stipulazione di un contratto finanziario per coprire spese che non sono classificabili come investimento costituisce causa di responsabilità in violazione dell’articolo 30, comma 15 della legge 289/2002, cioè la Finanziaria del 2003. Un articolo che determina una responsabilità amministrativa di tipo sanzionatorio a carico dei pubblici amministratori.
Tale articolo prevede che “qualora gli enti territoriali ricorrano all’indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento, in violazione dell’articolo 119 della Costituzione, i relativi atti e contratti sono nulli”. Le sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti possono dunque irrogare agli amministratori che hanno assunto la relativa delibera la condanna a sanzione pecuniaria pari a un minimo di cinque e ad un massimo di venti volte l’indennità di carica percepita al momento di commissione della violazione. Come detto, tale sentenza era riferita ad un mutuo, ma non se ne può escludere una applicazione analogica, poiché la Corte dei conti ha da tempo acceso un faro sull’utilizzo dei contratti di swap da parte degli enti locali.
Spesso infatti tali contratti producono un pagamento una tantum (il cosiddetto upfront) a favore del comune, provincia o regione contraente. Tale somma dovrebbe confluire in un fondo di stabilizzazione ed essere utilizzata per compensare eventuali minusvalenze nell’ipotesi in cui l’ente locale perda la “scommessa” sul sottostante del derivato (di solito rappresentato dai tassi d’interesse), ferma restando la destinazione dei corrispettivi del contratto al finanziamento di investimenti. Accade, invece, che queste somme upfront molto spesso finiscano tra gli introiti correnti, e che si crei un meccanismo infernale di rinegoziazioni del contratto swap quando il medesimo evidenzia una perdita potenziale (il cosiddetto mark-to-market) sulla scommessa sottostante. Tali rinegoziazioni spesso producono dei pagamenti a favore dell’ente locale che non sono in alcun caso da considerare proventi finanziari, proprio a causa di natura e tipologia di tali operazioni. Si tratta di una vera e propria mina nei bilanci degli enti territoriali, che Tommaso Padoa-Schioppa ha già iniziato ad affrontare, sia pure in modo parziale, mesi addietro, e che rischia di produrre devastazioni ai bilanci locali di portata ben maggiore a quelle inferte dall’affaire Italease (e non solo da quello) ai conti di più o meno sprovveduti imprenditori.
L’attività della Corte dei conti, in termini di sentenze e pronunciamenti, testimonia quindi della consapevolezza del problema da parte della magistratura contabile. Che tenta di disincentivare condotte disinvolte degli amministratori locali con la minaccia di applicazione nei loro confronti del principio di responsabilità amministrativa.
Ulteriore conferma dei nostri sospetti circa l’esistenza della responsabilità dei pubblici amministratori, che non dovrà quindi essere introdotta da apposita legislazione per opera di Capezzone. Il quale potrà sempre consolarsi promuovendo l’introduzione ope legis del pettine senza denti per i calvi e della barca con ruote per i fiumi in secca, visto che internet è già stata inventata. Da Al Gore, ovviamente.