Ieri Walter Veltroni ha presentato la proposta del Partito Democratico sulla rivalutazione delle pensioni. L’intervento previsto (che Veltroni e Morando sostengono essere coperto a livello finanziario, senza dettagliare come) riguarderebbe i pensionati ultrasessantacinquenni e determinerebbe un incremento di quasi 400 euro l’anno per le pensioni fino a 25mila euro l’anno e un incremento tra i 250 e i 100 euro l’anno per le pensioni di importo compreso tra 25mila e 55mila euro l’anno. Tecnicamente, verrebbero aumentate le detrazioni sia in funzione dell’età anagrafica (più una persona è anziana, più salgono le detrazioni) sia in base al reddito pensionistico (più la pensione è alta, più le detrazioni saranno basse). Veltroni considera tale intervento come la naturale evoluzione di quella che è stata propagandisticamente definita “la quattordicesima”: l’importo una tantum erogato dal governo Prodi e che ha beneficiato, con importi compresi tra 336 e 504 euro, tre milioni di pensionati ultrasessantacinquenni con reddito annuo non superiore a 8675 euro. Alcuni spunti dell’intervento sono apprezzabili, altri appaiono pura propaganda elettorale.
In primo luogo, l’intervento una tantum di Prodi ha interessato gli assegni pensionistici più esigui, caratterizzandosi come intervento di contrasto alla povertà. Veltroni, per contro, intenderebbe estendere la rivalutazione fino a un reddito lordo annuo di 55.000 euro, a testimonianza di una strategia elettorale che mira alle fasce economicamente più disagiate ma anche al ceto medio. Veltroni intende inoltre modificare il criterio di indicizzazione delle pensioni: oggi le pensioni pubbliche vengono rivalutate a inizio anno sulla base del tasso d’inflazione programmata dal governo, con una copertura decrescente al crescere dell’importo della pensione. Il governo Prodi ha fissato il tasso d’inflazione programmata per il 2008 ad un esiguo 1,7 per cento. Una furbata adottata per ottenere risparmi di spesa pubblica da destinare alla pioggia di mance clientelari che ha caratterizzato quel disgraziato esecutivo. Di più: il tasso programmatico è stato fissato quando appariva del tutto evidente che la pressione inflazionistica era destinata ad accelerare, e che le tensioni sui prezzi di alimentari ed energia non erano transitorie. Oggi abbiamo un indice tendenziale dei prezzi al consumo che ha superato il 3 per cento (euro-armonizzato), con una consistente erosione del potere d’acquisto delle pensioni. La domanda sorge spontanea: dov’erano gli eroici paladini dei più deboli, i sindacati, quando Prodi e TPS decisero di fare cassa sulla pelle dei pensionati?
Il problema della indicizzazione delle pensioni esiste, e si è ovviamente aggravato con l’aumento dell’inflazione. A questo fine, Veltroni e Morando propongono l’adozione di un indice dei prezzi per famiglie di pensionati, in corso di realizzazione da parte dell’Istat. Come noto, l’inflazione subìta da una famiglia varia in funzione del suo specifico pattern di spesa. A bassi livelli di reddito l’incidenza delle spese per alimentari ed energia (riscaldamento, soprattutto) è elevata, e ciò spiega la forte perdita di potere d’acquisto dei redditi più bassi, avvenuta soprattutto nell’ultimo anno. E’ quindi opportuno elaborare un indice dei prezzi espressivo dei modelli di consumo delle fasce economicamente più deboli, anche se limitarlo ai pensionati rischia di produrre ulteriori iniquità e distorsioni. Nel suo slancio miracolistico (verrebbe da dire berlusconiano) Veltroni si spinge ben oltre, ipotizzando di intervenire sulle regole con cui il montante contributivo viene trasformato in vitalizio, e facendo in modo di legare l’indicizzazione “reale” delle pensioni calcolate con il metodo contributivo all’andamento di un indice di sostenibilità dato dal rapporto tra spesa pensionistica e monte dei redditi da lavoro.
Urge una spiegazione di come funziona il sistema contributivo, introdotto dalla riforma Dini del 1995. In esso, il montante contributivo si ottiene dalla capitalizzazione del 33 per cento della retribuzione lorda ad un saggio annuo pari alla media mobile quinquennale del tasso di variazione del pil nominale. Il montante contributivo è poi diviso per un coefficiente di trasformazione che riflette la durata attesa del periodo di pensionamento del pensionato (e del coniuge superstite) alle varie età. Tralasciamo il fatto che una discutibile scelta di Giulio Tremonti prima, ed i diktat sindacali e della sinistra estrema poi, hanno finora impedito la revisione dei coefficienti di trasformazione (prevista nel 2005). Quello che ci preme evidenziare è che, con il sistema pensionistico a contribuzione, le risorse per pagare le pensioni sono legate alla crescita del monte-salari, che è dato dalla somma del tasso di crescita dei salari e del tasso di crescita dell’occupazione. In condizioni “normali”, tale somma tende ad essere pari al tasso di crescita economica. Dunque, i rendimenti del sistema contributivo sono legati al tasso di crescita del pil, cosa che mantiene il sistema in equilibrio assieme alla variabile demografica rappresentata dai coefficienti di trasformazione. Se Veltroni intende modificare questo equilibrio, significa che vuole spostare risorse reali del sistema economico a favore delle pensioni. Non male, per un paese che ha un’età di pensionamento tra le più basse dell’Ocse. C’è un solo modo per fare crescere il rendimento di un sistema pensionistico contributivo: aumentare il tasso di crescita del pil. Che si ottiene, date le premesse, aumentando il tasso di crescita della produttività ed il tasso di partecipazione alla forza-lavoro. Tutto il resto sono espedienti elettorali.
© Libero Mercato 27 marzo 2008, “Pure Veltroni (dopo Prodi) bara sulla previdenza”