Vorrei ma non posso – 2

Il governo ha deciso di utilizzare fino a 2500 militari dell’esercito con funzioni di ordine pubblico. I soldati dovrebbero affiancare le forze dell’ordine in attività di pattugliamento, soprattutto nelle ore serali e notturne, nelle principali aree metropolitane. Secondo il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, l’impiego dei militari dovrebbe avere un preciso limite temporale, sei mesi rinnovabili una sola volta. Saremo poco perspicaci ma la domanda sorge spontanea: a che serve un’iniziativa del genere?

A che serve, s’intende, aldilà degli scopi ufficiali annunciati dal governo. Occorre premettere che noi non compriamo gli abituali strepiti sulla presunta svolta autoritaria del governo: i militari avranno compiti di pubblica sicurezza ma non di polizia giudiziaria, cioè non potranno operare arresti, ed il coordinamento resterà saldamente in mano al ministero dell’Interno, tramite i prefetti. Ma anche così, il provvedimento risulta incomprensibile. In primo luogo, 2500 soldati sono un’inezia, di fronte ad organici di polizia e carabinieri che possono contare ognuno su circa centomila effettivi. L’impiego disperso dei militari sul territorio delle grandi aree metropolitane li renderà prevalentemente oggetto di curiosità, non di efficacia operativa. Nell’annuncio di La Russa vi sono anche accenti di (auspicabilmente) involontaria comicità: i soldati, ha detto il ministro della Difesa, saranno scelti tra quelli che hanno partecipato a missioni internazionali. Non è chiaro se perché già abituati a trattare con popolazioni civili particolarmente stressate. Eppure a nessuno sfugge che i soldati non sono poliziotti, e viceversa. E ancora: perché un limite temporale alla misura, e soprattutto perché renderlo pubblico?

Ci paiono poi sensate e condivisibili le proteste dei sindacati di polizia. Le forze dell’ordine hanno organici con età media in progressivo aumento, a causa del limitato reclutamento; il numero di effettivi destinati alla strada continua a ridursi, sia per motivi (anche anagrafici) di idoneità al ruolo che per il persistente malvezzo di utilizzare il personale in mansioni improprie, quali quelle amministrative. E questo malgrado ogni governo (ed ogni opposizione) strepitino da sempre sull’esigenza di recuperare al servizio attivo quanto più personale possibile. Le forze dell’ordine sono state escluse (come gli altri pubblici dipendenti) dal provvedimento di detassazione degli straordinari, ed anche questo è motivo di forte e giustificato malcontento.

L’impressione è che, di fronte alla gravissima crisi fiscale del paese, che impedisce di destinare ulteriori risorse alle forze dell’ordine, il governo abbia scelto di saturare la “capacità produttiva” in eccesso proveniente dall’esercito, disinteressandosi della compatibilità professionale dei soggetti e dei corpi interessati. Oltre a voler fornire un messaggio rassicurante (e molto a buon mercato, in ogni senso) alla popolazione che, ove mai avesse la ventura di imbattersi la sera in un militare dell’esercito con fucile mitragliatore e giubbotto antiproiettile, di pattuglia col poliziotto di quartiere, potrebbe percepire un sollievo alle proprie insicurezze tanto netto quanto effimero. Succede anche questo, quando si ha un debito pubblico che è pari al 105 per cento del prodotto interno lordo, ed ogni anno si spendono settanta miliardi di euro per interessi passivi.

All’Italia serve un grande progetto di riforma sistematica e complessiva, di lungo respiro, non iniziative al margine, estemporanee e mediatiche, inidonee persino a sopperire alle immancabili “emergenze” della quotidianità. Per conseguire questo obiettivo serve riformare il funzionamento dello stato, e perseguire disciplina di bilancio, non tagliando indiscriminatamente le spese, ma ripensando l’intero impianto della Funzione Pubblica. Per questo attendiamo lo sviluppo delle iniziative di Renato Brunetta. Il fallimento non è un’opzione.

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