Gli anglosassoni lo chiamano fingerpointing, gli italiani scaricabarile. E’ l’essenza un po’ stucchevole della dialettica politica, soprattutto in prossimità di consultazioni elettorali. In questo periodo di convulsioni dei mercati finanziari e di stretta creditizia sull’economia reale, l’ultimo fingerpointing è quello secondo il quale le “responsabilità” del meltdown dei mercati finanziari non sarebbero imputabili all’Amministrazione Bush ma affonderebbero le proprie radici negli anni di Bill Clinton, quando venne abrogato il Glass-Steagall Act, che impediva alle banche commerciali di svolgere funzioni di banche d’investimento; nello stesso periodo l’amministrazione democratica esercitò pressioni sui centauri Fannie Mae e Freddie Mac per allentare gli standard creditizi a favore degli strati sociali a reddito medio-basso. Tutto accadde nel 1999, quindi la tesi del “liberismo clintoniano” quale matrice della crisi appare perlomeno temporalmente corretta, anche se piuttosto semplicistica. Proviamo a riflettere sulle causalità (vere e presunte) che si sono prodotte dal 1999 ad oggi.
In primo luogo, la crisi attuale non è (non è più) una crisi da mutui subprime, come invece la stampa continua ad affermare, ma è ormai diventata una crisi da riduzione della leva finanziaria. Gli intermediari finanziari, negli ultimi anni, hanno espanso il rapporto di leverage a livelli patologici, contando soprattutto sul moral hazard agevolato da banche centrali (la Fed su tutte) sempre pronte a correre in soccorso del mercato azionario e dei suoi periodici attacchi di panico.
Che significa crisi da deleverage? Per comprenderlo, occorre preliminarmente sapere che gli intermediari hanno comprato cartolarizzazioni di mutui indebitandosi, spesso oltre ogni immaginazione. Ipotizzate di essere un investitore, e di possedere 100 euro. Andate dalla vostra banca e vi fate prestare altri 900 euro. Con i mille euro di cui ora disponete, acquistate un titolo che rappresenta una cartolarizzazione su mutui. Ad un certo punto, a causa di una serie di insolvenze dei mutuatari, il prezzo di mercato del vostro titolo comincia a scendere, perdendo il 10 per cento. Quindi ora voi siete rimasti con 900 euro di controvalore dell’investimento, ma avete un debito con la banca di 900 euro. La banca, che vi ha prestato denaro utilizzando come garanzia implicita i vostri 100 euro (che il ribasso ha fatto evaporare), vi chiede di versare del denaro per ricostituire la garanzia. Ma voi non avete altri soldi, e siete costretti a vendere il titolo per “rientrare” del finanziamento. Sfortunatamente, molti altri investitori si trovano nella vostra identica situazione, il che significa che sul mercato i venditori si affollano, ed il prezzo del titolo-cartolarizzazione scende ancora di più. Voi siete dichiarato insolvente, la banca che vi ha prestato quei soldi deve contabilizzare una perdita sul credito. Le altre banche (che si trovano in situazione simile) iniziano a pensare che la vostra banca, che ha effettuato quel prestito (perdendoci) abbia ora a sua volta problemi di solvibilità, e smettono di prestarle soldi. Il credito interbancario subisce una gelata, che si estende rapidamente al credito commerciale ad imprese e privati. Le banche centrali devono intervenire, fornendo liquidità alle banche, per evitare il peggio. Ma potrebbe non bastare.
Torniamo agli Stati Uniti, e semplifichiamo brutalmente. Clinton “suggerisce” a Fannie e Freddie di prestare di più ai cittadini a reddito medio e basso, per realizzare il sogno di una casa di proprietà per tutti. Fannie e Freddie erano formalmente private ma con un implicito endorsement pubblico, che permetteva loro di raccogliere fondi a costi ridotti. Gli altri prestatori immobiliari, per non perdere quote di mercato a favore della concorrenza sleale dei due centauri parastatali, cominciano a loro volta ad erogare mutui a chiunque, senza anticipi e senza verificare la capacità di rimborso dei debitori. Il sistema inizia ad indebolirsi dalle fondamenta (è proprio il caso di dire), ma la congiuntura ancora favorevole e l’abbondante disponibilità di credito a buon mercato, sotto gli auspici della Fed di Alan Greenspan, repubblicano dalla nascita (un dettaglio del gioco di società di cui stiamo parlando), mantengono in piedi il sistema. Ma non è tutto.
Quando le insolvenze sui mutui subprime iniziano a manifestarsi, Greenspan si rifiuta di ordinare alle banche commerciali (su cui esercita la vigilanza) di smettere di concedere mutui senza verificare la capacità di rimborso dei debitori. E’ fiducioso che i sistemi di credit-scoring possano aiutare il mercato ad allocare credito in modo efficace ed efficiente. Dal lontano giorno di emanazione della direttiva clintoniana “una casa per tutti“, il Congresso ha più volte cambiato maggioranza, ma nessuno ha mai pensato di sciogliere il nodo gordiano dei centauri Fannie e Freddie. Fino a quando la crisi è esplosa, e la realtà ha aggredito il legislatore. Su questo episodio noi vediamo responsabilità diffuse e bipartisan, e voi?
Nel frattempo le banche d’investimento, per resistere alla pressione competitiva delle banche commerciali (a cui è stato consentito di operare anche nell’investment banking), cominciano ad aumentare la propria leva finanziaria, proprio come il risparmiatore dell’esempio. La legge che ha abrogato il Glass-Steagall Act si chiama Gramm-Leich-Bliley, dove Gramm altri non è che Phil Gramm, ex senatore repubblicano e Segretario al Tesoro in pectore in una eventuale presidenza McCain. Gramm, oggi, è noto soprattutto per essere il lobbysta di Ubs, la banca svizzera che nell’ultimo anno ha dovuto svalutare prestiti subprime per 18 miliardi di dollari e si accinge a varare una ristrutturazione da 8.000 licenziamenti. Il Gramm-Leich-Bliley Act fu ovviamente promulgato da Bill Clinton, ma qualcuno potrebbe sostenere che quella deregulation fu figlia di un solo padre e di un solo partito?
Crisi di deleverage, dunque. E quali sono i veicoli d’investimento che fanno della leva finanziaria la propria ragione di essere? Gli hedge funds. Strumenti che hanno strutturalmente una liquidità ridotta: non è possibile entrarvi ed uscirvi in giornata, ma occorre attendere un periodo variabile (di solito uno-tre mesi, a volte di più). Gli hedge funds stanno subendo forti richieste di rimborso dalla clientela, per far fronte alle quali sono costretti a vendere al miglior prezzo, che poi è il peggiore. Sono le cosiddette fire-sales. Non sempre queste liquidazioni si svolgono in modo ordinato: a volte si creano situazioni identiche a quelle dell’investitore a leva del nostro esempio. E poiché gli hedge funds sono fortemente interconnessi al sistema finanziario, in molti casi si crea un rilevante rischio sistemico. Vi dice nulla il nome Long Term Capital Management, il fondo hedge dei Nobel? Fu salvato dalla Fed di Alan Greenspan, perché anch’esso era too big to fail. Gli hedge fund sono poco regolati, eppure rischiano di subire un avvitamento mortale come quello che ha provocato l’estinzione della tipologia delle banche d’affari. Avvitamento a cui contribuisce la regolazione, come nel caso del divieto di vendite allo scoperto che, da tecnica insostituibile per fornire liquidità ai mercati ed agevolare la price-discovery, sono diventate i nuovi untori della peste finanziaria. Di chi la colpa, dei repubblicani o dei democratici? O di entrambi, e più in generale dei politici? Ed è possibile rilanciare una tesi partisan palesemente erronea ed ormai sconfessata dalla realtà degli accadimenti, scrivendo che
“Al contrario, spiegano i liberisti, ad aver permesso il caos è l’eccessiva e crescente regolamentazione pubblica del settore bancario e la dimostrazione è che gli hedge fund, per niente controllati, non sono affatto in crisi.”
senza scadere nel ridicolo? Viviamo in tempi spietatamente complessi, non vi è dubbio.