Su lavoce.info Enrico D’Elia analizza le ragioni del differenziale inflazionistico formatosi tra l’Italia ed Eurolandia, che avevamo segnalato tempo addietro. Secondo D’Elia esiste una sostanziale vischiosità al ribasso dei prezzi italiani rispetto alla media dell’Eurozona:
Se si guarda al differenziale di inflazione tra l’Italia e la zona euro, si osserva un restringimento sistematico nelle fasi di forti rincari e un successivo allargamento in quelle di riassorbimento delle tensioni.
Ma mentre i prezzi dei beni industriali, che poi sono quelli maggiormente esposti alle dinamiche competitive globali, tendono a comportarsi in linea con quelli europei sia nelle fasi di decelerazione che in quelle di rallentamento, i prezzi dei servizi tendono ad adeguarsi, con ritardi, ai rincari medi europei, mentre restano vischiosi al ribasso, gravando in modo più persistente sui consumatori italiani (cioè beneficiandoli meno) durante le fasi recessive. D’Elia ha un’interpretazione di questa dinamica:
La scarsa produttività dei servizi italiani non è sufficiente a spiegare, da sola, simili asimmetrie. Infatti l’accumulo di un differenziale di prezzo così ampio è possibile solo grazie allo scudo offerto da un mercato scarsamente concorrenziale, con forti barriere all’entrata di nuovi operatori e con margini di profitto che garantiscono comunque la sopravvivenza anche delle imprese meno efficienti.
E’ importante comprendere che un sistema economico che durante i rallentamenti produce disinflazione, soprattutto rispetto ai partner commerciali entro un’area valutaria comune, è fondamentale per recuperare competività, oltre che per offrire sostegno al potere d’acquisto e ridurre i tempi del necessario aggiustamento. Come sta quindi muovendosi il governo per rimuovere questo collo di bottiglia? In modo contraddittorio e certamente non risolutivo:
Da un lato, la “rottamazione” delle imprese commerciali e turistiche meno efficienti, prevista dal decreto anticrisi, sembra un primo passo nella direzione di una “pulizia” del mercato. Vanno nella stessa direzione anche il price cap asimmetrico, ovvero applicabile solo sugli aumenti, sulle tariffe pubbliche e i vincoli all’attività delle aziende municipalizzate, regionali, e così via, i limiti alla commissione di massimo scoperto e la riduzione dei compensi per le società di riscossione. Tuttavia, i crediti d’imposta su assunzioni e investimenti restano sostanzialmente a pioggia, senza alcun discrimine tra settori e imprese più o meno efficienti e concorrenziali, e aumentano gli aiuti a un settore sostanzialmente monopolistico come le ferrovie.
E’ soprattutto, il nostro è ormai diventato il paese del modello-Alitalia, quello delle liberalizzazioni pervicacemente negate, delle protezioni anticompetitive, delle rendite parassitarie, delle corporazioni, del trionfo del markup di prezzo, “cascasse il cielo”. Attendendo il capolinea.