*Attenzione, post vagamente tecnico
Il Tesoro degli Stati Uniti ha comunicato che inizierà questa settimana gli stress test sulle principali banche utilizzando come indicatore di criticità il Tangible Common Equity e non il Tier 1. Non sappiamo se i federali dispongono delle competenze e del personale necessari per indagare approfonditamente sulle twilight zones delle grandi zombie banks americane (abbiamo seri dubbi, ad essere sinceri), ma enfatizzare il TCE potrebbe rivelarsi una interessante operazione-verità.
Questa grandezza, infatti, indica sostanzialmente quanto gli azionisti ordinari otterrebbero in ipotesi di scioglimento della società, ed esclude dai ratios le preferred shares e gli intangibles, come l’avviamento pagato per acquisire altre banche e i crediti d’imposta differiti. Nel caso americano, ad esempio, Citigroup ha rilevante presenza di deferred tax credits, che gonfiano il suo equity. Mentre il Tier1 di Citi è piuttosto elevato e pari a circa il 12 per cento, il suo TCE è pari a solo l’1,5 per cento, a fronte di standard normali richiesti dal mercato pari al 3 per cento.
Se questa metrica dovesse affermarsi come il nuovo standard di valutazione della solvibilità delle banche, anche noi in Italia avremmo interessanti ripercussioni, stante l’enorme incidenza di avviamenti da fusioni (strapagate) presenti nei bilanci dei nostri maggiori istituti di credito. Non che il mercato non se ne sia accorto, a dire il vero.