Tre referenda contro ogni probabilità, perché programmati il primo giorno d’estate sotto il ricatto del junior partner della coalizione pro-tempore al governo (oggi la Lega, in altro contesto sarebbero state le sinistre antagoniste o Di Pietro), con una informazione carente, per usare un eufemismo. Accompagnati dal solito coretto scemo “andate al mare“, la quintessenza di un paese inchiodato alla propria irresponsabilità. Un istituto, quello referendario, indebolito alla morte dagli innumerevoli autogol dei loro storici proponenti, i radicali. Eppure, una consultazione referendaria che potrebbe cambiare il panorama politico italiano, depotenziando il ricatto dei partiti minori nelle coalizioni, oltre a rimuovere l’italica furbata delle candidature multiple, aprendo la strada all’adozione di meccanismi meno oligarchici di selezione del personale politico.
Sentiamo già le obiezioni: assegnare il premio di maggioranza alla lista che ottiene la maggioranza relativa dei suffragi non mette al riparo dalla eventualità che si creino liste che sono in realtà cartelli di partiti (liste-arlecchino, come le chiama Angelo Panebianco), pronti a separarsi appena giunti in parlamento. Potremmo, ad esempio, avere una lista Pdl-Lega destinata a produrre, “a valle”, due gruppi parlamentari. Possibile, anzi altamente probabile, se non esplicitamente previsto dai referendari. Ma anche così, il potere di ricatto del partner minore di coalizione sarebbe significativamente ridotto, per intuibili ed intuitivi motivi.
Se qualcuno inoltre pensa che l’attuale assetto partitico sia già stato sufficientemente semplificato, con l’invito al “voto utile”, rifletta sul fatto che questo è un espediente che, per una volta, ha funzionato, ma che nulla garantisce possa continuare a funzionare. In Italia abbiamo almeno sei soggetti politici in grado di influire sull’assetto di coalizione: Pdl, Pd, Lega, IDV, Udc, e un’eventuale lista comune della sinistra antagonista-ecologista. Questo è tutto fuorché un assetto bipolare. Possiamo dare per scontato che non ci sarà più una cosa chiamata Unione, cioè un cartello di sinistra riformista moderata e di sinistra antagonista, garanzia di litigiosità e inconcludenza? No, perché gli italiani hanno memoria cortissima. Analogamente, possiamo dare per scontato che il Pdl sopravvivrà a Silvio Berlusconi? Personalmente, non vi scommetteremmo del denaro. Ma quello che possiamo tentare di fare è costruire robusti argini alla (s)partitocrazia e a favore di meccanismi di responsabilizzazione politica dei partiti, che perderebbero gran parte degli alibi tipo “io volevo fare questo e quello, ma il mio partner di coalizione me lo ha impedito” (ve la ricordate questa?), oltre che di selezione del personale politico su base più democratica dell’attuale. Riguardo quest’ultimo punto, un appello a chi ha deciso di astenersi: votate sì almeno alla scheda VERDE, quella per l’abrogazione delle candidature multiple.
A tutti gli altri, l’invito a provarci: tre schede, tre si. Contro ogni probabilità.