Mors tua, pensione mea

Nella giornata di ieri il governo, per bocca del ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, ha annunciato l’introduzione di quella che è stata definita una forma di stabilizzazione del sistema previdenziale in relazione all’incremento dell’aspettativa di vita, per effetto della quale

«A decorrere dal 1° gennaio 2015 i requisiti di età anagrafica per l’accesso al sistema pensionistico sono adeguati all’incremento della speranza di vita accertato dall’Istat e validato da Eurostat con riferimento al quinquennio precedente»

Temendo di apparire troppo draconianamente decisionista su una misura così imminente, in quanto destinata ad entrare in vigore tra soli sei anni, il governo si affrettava a precisare che “l’incremento dell’età pensionabile riferito al primo quinquennio antecedente non può comunque superare i tre mesi”.

Sacconi chiosava parlando di “piccola finestra mobile” per le uscite dal lavoro, “sostanzialmente impercettibile” dai lavoratori, ma illustrava i meriti del dirompente provvedimento sostenendo che esso avrebbe consentito ai mercati finanziari di “apprezzare la stabilità dei conti pubblici italiani”. Per una micro-finestra di tre mesi tra sei anni, destinata ad essere “impercettibile” dai lavoratori? Avremo mica trovato la pietra filosofale?

Peraltro, non si capisce per quale motivo introdurre a così lungo termine una “innovazione” di questo tipo, quando dall’entrata in vigore della riforma Dini (cioè da quasi tre lustri) i governi che si sono succeduti alla guida del paese non sono riusciti a vincere i formidabili veti sindacali alla revisione dei coefficienti di trasformazione del montante contributivo in rendita pensionistica, che di rinvio in rinvio è ora prevista per il prossimo anno, forse. Siamo al tremore conclamato, al riformismo-burla, sempre rigorosamente posposto di lunghi anni, molti più di quelli che erano necessari per vedere entrare in vigore il defunto scalone-Maroni.

Oggi, durante l’incontro con le parti sociali a Palazzo Chigi Sacconi, evidentemente preoccupato di aver troppo osato, ha corretto il tiro:

«L’aggiustamento dell’età pensionabile in base all’aspettativa di vita è una misura di stabilizzazione solamente eventuale. A partire dal 2015 se l’aspettativa di vita continuerà ad alzarsi ci sarà un moderato incremento dell’età pensionabile che sarà al massimo di tre mesi sul quinquennio precedente e verrà verificato altrettanto sul quinquennio dopo»

Adelante Mauricio, con juicio. Sacconi, che dall’autunno non avrà più le deleghe alla Salute, perché verrà reintrodotto un ministero dedicato, ci informa infatti che non è detto che la speranza di vita in Italia stia aumentando, perché

«L’aspettativa di vita si sta un po’ riducendo per la componente immigrata o la parte anziana di essa»

Come, scusi, gli immigrati in Italia vivono di meno? E perché, di grazia? Non potremmo indagare questo fenomeno e tentare di correggerlo? Anzi no, forse è meglio lasciare le cose come stanno: gli italiani vivono più a lungo, gli immigrati meno, i due fenomeni tengono costante la speranza di vita, e vissero (e morirono) tutti felici e contenti. Non toccate nulla, per amor del cielo, stiamo riformando un paese, è impresa titanica.

Certo però che questi immigrati sono davvero fondamentali per noi italiani, che pure tendiamo a schifarli e conculcarli con ogni mezzo. Anni addietro si diceva che erano destinati “a pagarci le pensioni”. Oggi, grazie alla loro precoce dipartita, servono a mantenere inalterata l’età pensionabile. Se non esistessero, dovremmo inventarli.

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