Ricapitolando: i deficit pubblici stanno esplodendo in tutto il mondo occidentale. Segnatamente Negli Stati Uniti, dove vent’anni di bolle insufflate per ideologia ottusamente finto-liberista e realmente oligarchica e di cattura regolatoria hanno regalato al pianeta boom e crash a ripetizione. Oggi, i tassi sono talmente bassi che non c’è alternativa a smobilizzare i fondi dagli impieghi monetari e dirottarli verso il mercato obbligazionario di stato, corporate, emergenti e l’azionario. Quest’ultimo prosegue in un rialzo che sconta utili che assai difficilmente vedremo prima di qualche anno.
Nel frattempo, l’economia striscia sul fondo, salvo qualche battito di ciglia prontamente scambiato per il boom prossimo venturo. L’indice S&P 500 è in rialzo del 15 per cento da inizio 2009, ma il Dollar Index (media del cambio del dollaro con i principali partner commerciali degli Stati Uniti) nello stesso periodo si è svalutato del 7 per cento. Il dollaro diventa veicolo di carry trade, novello yen (decennio perduto incluso, pensiamo): ci si indebita in dollari e si comprano ad esempio dollari australiani, soprattutto ora che Canberra è ufficialmente uscita a passo di carica da una recessione che tecnicamente neppure ha avuto (solo un trimestre di crescita negativa del Pil, grazie Cina), alza i tassi e promette nuovi rialzi. Per effetto di ciò l’oro si rivaluta, non solo contro dollaro, ma anche contro euro, a indicare che i suoi muscoli sono veri.
Lo slalom tra gli iceberg continua.