Mentre la Russia cambia passo e intensifica l’azione di artiglieria e missili sulle principali città dell’Ucraina orientale, tra cui la capitale Kiev, i mercati globali si risvegliano alla realtà che non esistono sanzioni chirurgiche o selettive, e che l’economia mondiale è destinata a subire uno shock di enorme portata, proprio nel momento di maggior difficoltà a sciogliere i nodi causati dalla riapertura post-pandemica.
Come sappiamo, l’idea delle sanzioni occidentali era quella di proseguire gli approvvigionamenti di materie prime russe, non solo energetiche, pagandole regolarmente ma bloccando la possibilità per la banca centrale russa di spendere la valuta riveniente da tali transazioni. Una simile azione è per definizione imperfetta perché non preclude eventuali aggiramenti, di vario tipo.
Porti chiusi
C’è tuttavia il problema di cosa accade ai rifornimenti fisici, quando non solo le sanzioni ma anche altri ostacoli impediscono fisicamente la movimentazione delle merci. Ad esempio, le due maggiori compagnie mondiali di shipping, MSC e Maersk, aggiungendosi agli altri vettori, hanno comunicato la sospensione dei noleggi cargo da e per la Russia, con l’esclusione -teorica- di farmaci e cibo.
Tutto mentre si moltiplicano i fermi doganali di navi cargo contenenti merci russe. Il problema si estende anche al cargo aereo, con la scomparsa dal mercato degli aerei russi e ucraini e il ridisegno delle rotte, stanti i divieti incrociati di accesso ai rispettivi spazi aerei che coinvolgono vettori europei e russi.
La penuria di mezzi e uomini dedicati alle movimentazioni di merci è acuta nel settore marittimo globale, visto che cittadini russi e ucraini rappresentano circa il 14% del totale dei marittimi e al momento è impensabile avvicendarli in turni di equipaggio.
Dove non arrivano le sanzioni, arriva il rischio bellico: le assicurazioni stanno progressivamente smettendo di assicurare le movimentazioni nei porti del Mar Nero e del Mare d’Azov. I grani russi e ucraini sono fermi nei rispettivi paesi e i paesi grandi acquirenti, come l’Egitto, devono cancellare le aste periodiche per mancanza di offerte anche solo lontanamente accettabili. I prezzi sono già schizzati e si rischia una crisi alimentare globale, che colpirebbe in modo particolarmente violento i paesi più poveri.
Petrolio russo fuori mercato
C’è poi il capitolo del petrolio, il cui prezzo è ai massimi da molti anni: questa mattina il Brent ha toccato i 112 dollari al barile. Le tariffe di nolo per le petroliere sono raddoppiate, perché la domanda di greggio sostitutivo di quello russo, proveniente da Medio Oriente, Africa occidentale e Stati Uniti, si scontra con la riduzione di uomini e mezzi.
I compratori, intimoriti dal rischio di nuove sanzioni che stavolta coinvolgano esplicitamente il settore energetico, si stanno di fatto “autosanzionando”, evitando il greggio russo. A giudicare dalle quotazioni del gas naturale in Europa, in rialzo verticale, i mercati stanno scontando una dinamica simile oppure la mossa di Putin che chiuda i rubinetti, in tutto o in parte. Con buona pace di sanzioni che, guidate come i missili intelligenti, lasciano in piedi l’interscambio energetico.

Nel frattempo, assistiamo a calcoli di natura ragionieristica su quanto e come potremmo sostituire le importazioni di gas russo. La fallacia dell’incoerenza temporale è sempre dietro l’angolo.
Uno shock molto violento dal lato dell’offerta, che accade nel momento in cui le banche centrali stavano avviando la normalizzazione della politica monetarie. Alcune, come la Federal Reserve e la Bank of England, in chiaro ritardo rispetto alla forza della congiuntura dal lato della domanda.
Ora lo shock fa ipotizzare un rinvio o un rallentamento della stretta monetaria e i mercati stanno riprezzando con violenza questa eventualità. Non a caso, lo spread italiano contro Bund (il cui rendimento sulla scadenza decennale è tornato negativo) si è ridotto in modo significativo: quando si ipotizza una politica monetaria meno aggressiva, i paesi a maggior debito traggono beneficio.
La “garanzia” di perdere parte del capitale reale
Siamo quindi al momento in cui le pressioni inflazionistiche, per shock dal lato dell’offerta, si confrontano con rendimenti nominali in calo e quindi con la riduzione dei rendimenti reali, cioè al netto dell’inflazione. Nelle fasi di forte avversione al rischio, ci si rifugia anche in titoli che ti “garantiscono” forti perdite del capitale reale. Ma quanto potrà durare?
Per ora appare evidente la fine dell’illusione di poter sanzionare chirurgicamente la Russia, subendone contraccolpi tutto sommato gestibili. Lo shock inflazionistico da offerta pone le banche centrali e i governi in condizioni estremamente difficili. Dare ulteriore liquidità ai sistemi economici per impedire fallimenti a catena ma condannarsi a nuove bolle inflazionistiche, oppure lasciare che gli eventi facciano il loro corso, con inflazione che distrugge domanda e riporta il sistema in equilibrio a prezzo di gravi perdite di occupazione e attività?
Quanto più questa situazione durerà, tanto più ci saranno condizioni di “fatica” delle sanzioni e crisi dei sistemi politici. Negli Stati Uniti, durante il discorso sullo Stato dell’Unione, Joe Biden si è trovato costretto a bilanciare la reazione contro la Russia al tema politicamente molto sensibile dell’inflazione, che rischia di costare ai Democratici la perdita del controllo del Congresso alle elezioni di midterm il prossimo novembre.
La fatica delle sanzioni in trincea
Molti Repubblicani incitano il presidente ad inasprire le sanzioni contro Mosca ma sono con tutta probabilità pronti a cambiare idea e denunciare l’intollerabile aumento di inflazione che ciò causerà. In tal modo finendo o tornando in braccio a Donald Trump e alla sua ammirazione per la “genialità” strategica di Putin vista anche come figlia dell’incapacità di Biden. “Perché morire per l’Ucraina quando dovremmo concentrarci sulla Cina?”, già si ascolta in questi giorni a Washington.
In Europa altri politici, in prima fila quelli che hanno sempre guardato con simpatia e ispirazione a Putin, non aspettano altro che invocare la rimozione delle sanzioni, alla prima occasione utile. Che potrebbe essere dopo la caduta di Kiev e la presa di controllo di tutto o ampia parte del del territorio ucraino da parte degli invasori russi.
Sarà una guerra di trincea. Il forte dubbio è sulla capacità di resistenza degli occidentali.