Nei giorni scorsi la Commissione europea ha stabilito la tempistica di rientro sotto la soglia del 3 per cento del rapporto debito-Pil per 13 paesi dell’Unione Europea. La Commissione si attende un deficit di bilancio aggregato nell’eurozona pari al 6,4 per cento del Pil quest’anno e al 6,9 per cento il prossimo anno, con il rapporto debito-Pil in crescita dal 78,2 per cento di quest’anno all’84 per cento nel 2010 e all’88,2 per cento nel 2011.
I termini di rientro e l’entità delle correzioni sono stati modulati per ogni paese. Ad esempio Italia e Belgio, in quanto paesi ad alto rapporto debito-Pil, avranno tempo solo fino al 2012. Il nostro paese dovrà realizzare una correzione annua dello 0,5 per cento. La Commissione ha assunto una posizione particolarmente dura nei confronti della Grecia, che ha finora sistematicamente disatteso le richieste europee, oltre ad essersi esibita in alcuni inverecondi numeri, come la certificazione di un rapporto deficit-Pil di poco superiore al 6 per cento, successivamente rettificato al raddoppio. La Commissione ha quindi proposto di alzare la procedura contro la Grecia al livello immediatamente precedente l’imposizione di multe, ed il commissario Joaquin Almunia ha annunciato la proposta di fissare un ultimatum sul deficit entro i prossimi due o tre mesi.
Dei problemi dell’economia ellenica si sono accorte anche le agenzie di rating. Moody’s, che ha in corso una revisione del paese per un possibile declassamento del debito, ha sollevato timori circa la capacità greca di generare nei prossimi dieci anni una crescita sufficiente a stabilizzare il livello di debito sul Pil, oggi al 120,8 per cento: per il prossimo anno, infatti, il Pil greco dovrebbe continuare a flettere, nella misura dello 0,3 per cento. Il governo greco, che sta affrontando forti tensioni sociali in un paese che è al primo posto in Europa per percezione di corruzione (si vedano i numerosi casi di truffe sui fondi comunitari), ha presentato l’ennesimo piano parziale di rientro dal deficit, dal 12,7 al 9,4 per cento del Pil, ma non ha convinto nessuno, visto il track record di falsificazioni nei conti pubblici di cui finora il paese ha dato prova.
A peggiorare un quadro già così fosco, la fragile condizione delle banche greche nell’eurosistema. La banca centrale greca ha chiesto agli istituti creditizi domestici di individuare fonti di finanziamento alternativo, per essere pronte quando la Banca centrale europea inizierà a drenare la liquidità fornita al sistema. Le banche greche hanno finora preso a prestito importi proporzionalmente maggiori di altri paesi di eurolandia: 42 miliardi di euro su un totale di 570 miliardi. Dall’inizio della crisi la Bce ha accettato un collaterale di ridotta qualità a garanzia dei propri finanziamenti. Prima dell’inizio della crisi, infatti, il livello minimo di rating ammesso dalla Bce era la singola A, oggi siamo alla tripla B, il limite inferiore dell’investment grade, sotto il quale c’è lo status di junk, cioè spazzatura.
Quando la Bce ritirerà lo stimolo (mossa che al momento non appare imminente, ma i mercati si portano sempre avanti), le banche greche saranno costrette a cercare finanziamenti a prezzi di mercato, evidentemente ben più onerosi. Da qui al contagio del rischio di credito sovrano il passo è assai breve. Non è un caso che i credit default swap sulla Grecia abbiano manifestato negli ultimi giorni un significativo allargamento. Il rischio è quindi quello di evidenziare una divergenza interna all’unione monetaria europea che, in assenza di una autorità fiscale europea rischia di causare forti turbolenze al sistema, oltre che di essere un elemento a sfavore dell’euro. Come già evidenziato in passato, per gestire questa e le prossime crisi serve più Europa, e non meno, magari pensando di ristrutturare il bilancio comunitario verso prime forme di cessione di sovranità fiscale. Operazione che, in modo quasi contro-intuitivo, servirebbe a promuovere maggiore federalismo, togliendo alla politica monetaria l’inefficiente esclusiva degli aggiustamenti congiunturali.