Se questo è un venditore

Su la Stampa, sapido commento di Massimo Gramellini sulle esternazioni mediorientali del nostro premier. Che alla Knesset si è esibito in un discorso di alto profilo, usando parole dure nei confronti della seconda Intifada palestinese, definita “terroristica” e subito dopo, al cospetto di Mahmoud Abbas (che la stampa italiana, per insondabili motivi, continua a chiamare col nome di battaglia di Abu Mazen), abbozzando un parallelo tra i 500 morti palestinesi dell’operazione israeliana “Piombo fuso” e le vittime della Shoah.

Più interessante il riferimento di Berlusconi all’Iran e ad rapporti commerciali con l’Italia. L’Eni, per il premier, avrebbe congelato gli investimenti futuri, mentre più in generale l’interscambio bilaterale tra Italia ed Iran testimonierebbe del disimpegno del nostro paese. Tesi rafforzata dal ministro degli Esteri, Franco Frattini, che segnala che la Sace ha interrotto la copertura assicurativa per gli esportatori italiani in Iran. Tutte informazioni convincenti, prima facie.

Ma poi accade che il governo iraniano smentisca il disimpegno di Eni, che la compagnia di Paolo Scaroni si senta in dovere di rilasciare una dichiarazione in cui conferma di non aver stipulato nuovi contratti oltre quelli relativi a due campi petroliferi, firmati nel 2000 e 2001, il che suona come conferma che il cane a sei zampe tiene la posizione. Quanto all’interscambio commerciale bilaterale il dato fornito dal premier, relativo ai primi dieci mesi del 2009, parla di un meno 39,7 per cento, che equivale all’incirca alla misura della contrazione del commercio mondiale durante la crisi, con in più l’effetto, ottico e reale, del crollo del prezzo del greggio tra il 2008 ed il 2009. E da ultimo, è utile ricordare che la Sace ha eliminato la copertura assicurativa verso l’Iran nel 2007.

In questi fattoidi c’è l’essenza della politica ma soprattutto la forza narrativa del berlusconismo, in fondo. E’ come per il leggendario “Piano Marshall per la Palestina“. Una formula suggestiva, che Berlusconi ribadisce in ogni consesso internazionale in cui si tratti di Medio Oriente. Ma una formula che non ha molto senso, laddove si pensi che la tragedia dei palestinesi non è la povertà in quanto tale, ma il grado di spaventosa corruzione della loro leadership, che da decenni alimenta i forzieri delle banche offshore con i miliardi di euro e di petrodollari elargiti dalla Ue e dalle monarchie petrolifere del Golfo.

A Gramellini la sintesi definitiva:

Ma come farà a essere israeliano con gli israeliani e palestinese coi palestinesi? Ad affermare, davanti a Netanyahu, che bombardare Gaza fu «una reazione giusta» e due ore dopo, davanti ad Abu Mazen, che le vittime di Gaza sono paragonabili a quelle della Shoah? Zelig si limitava a cambiare faccia, a seconda dell’interlocutore da compiacere. Ma questo è un uomo in grado di cancellare il tempo e lo spazio. Riesce a stare con il pilota dell’aereo che sgancia le bombe e nel rifugio sotterraneo con i bombardati. In contemporanea, e dispensando a entrambi parole di comprensione. Nella sua vita precedente insegnava ai venditori di pubblicità a essere concavi coi convessi e convessi coi concavi. Una volta li sfidò a salutare cinquanta clienti, trovando un complimento per tutti. Solo stringendo la mano al cinquantesimo, un uomo brutto e sgradevole, rimase perplesso. Poi gli disse: «Ma che bella stretta di mano ha lei!».

Molti hanno letto quei manuali americani che insegnano a infinocchiare il prossimo in 47 lezioni. Ma solo lui ha il fegato di applicarne il precetto fondamentale: credere sempre a quel che dici, anche quando è il contrario di quel che hai appena detto. Una tecnica che evidentemente funziona persino con le vecchie volpi mediorientali. Come farà? Vorrei tanto chiederglielo, se non fosse che lui nel frattempo si è già spostato nella basilica della Natività, a Betlemme, dove sta raccontando ai frati una barzelletta sulla Madonna che avrebbe preferito una femminuccia. A quel punto mi arrendo.

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