Un successo, è un Fatto

In un paese in cui un sussidio non si nega a nessun editore, vero o presunto, e dove la stessa Fieg si è messa in testa la bizzarra idea di tassare il web per fornire risorse al cartaceo, il Fatto svetta come un fenomeno da studiare nelle business schools. I numeri sono eloquenti: l’Editoriale il Fatto, che è una società per azioni, chiude l’esercizio sociale, al 31 dicembre 2009 e con soli tre mesi di vendite, con un utile netto di 2,17 milioni di euro, dopo imposte per 1,1 milioni di euro.

Nell’ultimo trimestre 2009 (il primo di operatività), le vendite medie giornaliere da edicola e abbonamenti sono state di 108.000 copie, e la tendenza pare non essere mutata nei primi quattro mesi di quest’anno. La società, dopo accantonamento a riserve, distribuirà ai soci un dividendo che, se ritirato, permetterà quasi di rientrare dall’investimento iniziale. Un payback di un anno o giù di lì (peraltro fatto solo con i dividendi, visto che l’azienda potrebbe avere un valore da cinque a dieci volte il conferimento iniziale di mezzi propri), ha del miracoloso nell’editoria italiana e non solo, e fa ben comprendere la smania dei giornalisti non azionisti a diventare soci. La società è fortemente capitalizzata e si prepara ad investire sui nuovi canali distributivi e sulla multimedialità. Considerato, come scrive ItaliaOggi, che il fatturato viene quasi esclusivamente dalle vendite, si intuisce che il giornale ha un punto di pareggio molto basso, quindi è snella e/o tecnologicamente avanzata.

Piaccia o non piaccia, sia che siate tifosi del “metodo Travaglio” (ma non è solo lui a scrivere sul Fatto, non lo si dimentichi), sia che siate inorriditi dall’approccio del giornale, è innegabile che siamo di fronte ad un clamoroso successo imprenditoriale e di mercato, in un settore in permanente crisi strutturale anche per eccesso di contiguità con la politica, e con buona pace delle recenti polemichette in modalità “trave & pagliuzza” sulle agevolazioni postali. Chi ama il mercato e la competizione non può che rallegrarsi. Ora c’è solo da sperare che il Giornale non ci faccia la prima pagina additando al famoso “pubblico (ed invidioso) ludibrio” il “Travaglio milionario”, come già fatto a suo tempo col merchandising di Beppe Grillo. Se c’è una cosa di cui non si sente la mancanza, in questo paese, è il pauperismo fatto dai tycoon, anche per interposto fratello.

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