Ieri, il nostro tuttologo multimediale di riferimento ha vergato un agile peana per Sergio Marchionne e per i creativi che hanno realizzato il nuovo spot televisivo della Dodge Challenger. Che ammicca, in nome della libertà, ai Tea Parties ed allo spirito delle colonie. E qui Rocca riesce in una spericolata operazione-twist: abbandonare Obama al suo destino di bieco statalista e magnificare l’abilità imprenditoriale di Marchionne, di cui i giornali americani già “elogiano lo stile” (del maglioncino?), mentre “i primi risultati cominciano a dargli ragione”.
In ogni operazione imprenditoriale epocale c’è un “peccato originale”, e Chrysler non sfugge alla regola, visto che per finire tra le braccia di Torino è passata attraverso la più poderosa torsione dei diritti dei creditori privilegiati della storia americana. Rocca segnala correttamente che il cartellino del prezzo di Chrysler, per il contribuente americano, è stato molto salato, ma si dimostra assai meno preciso quando afferma che
“L’intera industria automobilistica americana si è sciolta come il burro, è stata rilevata dal governo federale”.
Non è esattamente così. C’è un costruttore a stelle e strisce che è sopravvissuto alla tempesta. Certo, è un costruttore minore, si chiama Ford o un nome del genere. Realizza auto di successo, e non ha bisogno di riciclare costumi di scena di vecchi film di Mel Gibson. A questo marginale carmaker, ben prima che a Marchionne, andrebbe quindi assegnata la palma di “combattente per la libertà”. Ma sono dettagli, come lo è il fatto che Rocca scrive per un piccolo giornale d’opinione, del tutto privo di legami di qualsivoglia natura con l’azienda di Marchionne. Dissolvenza incrociata: l’America risorge, sconfigge il tiranno. Con i sussidi di Obama, il Tea Partier Marchionne e le fiabe di Rocca.