Dublino, Grecia

Dopo la Tragedia Greca, l’Isola Verde Miseria. Dopo l’esplosione dei credit default swap e del differenziale tra titoli di stato irlandesi e Bund tedeschi, la sequenza verso il remake dell’eurodramma prevede la presa di posizione del politico di turno, angosciato da speculazione e complotti.

Il ministro delle Finanze irlandese, Brian Lenihan, ha oggi dichiarato che “i recenti sviluppi finanziari” suggeriscono che l’area euro è vittima di un “attacco concertato” a danno dei paesi più deboli. Lenihan giura che “faremo tutto il necessario per proteggere la divisa unica e mettere in ordine l’economia”. Non sono bastati tagli del 13 per cento alle retribuzioni pubbliche ed alle pensioni, il sistema bancario irlandese è talmente ammalorato che ogni giorno di più la situazione rischia di assumere contorni islandesi: attivi tossici più grandi del Pil nazionale.

Il mese prossimo Dublino trasferirà ad una Bad Bank i titoli tossici detenuti da Anglo Irish Bank, la banca messa peggio tra le tre irlandesi (le altre sono Bank of Ireland e Allied Irish Bank). Non è stata sufficiente una prima ricapitalizzazione pubblica e la cessione degli attivi tossici ad una società di gestione appositamente costituita.

Ora gli irlandesi potrebbero prendere una decisione, scegliendo quello che eufemisticamente si definisce “burden sharing“, condivisione dell’onere, con alcuni creditori. A fine settembre scadono infatti le garanzie pubbliche sui crediti del sistema bancario, verranno rinnovate per un trimestre e limitatamente ai depositi bancari. Il problema è quindi il destino degli obbligazionisti.

I bond senior, detenuti soprattutto da banche tedesche, francesi e britanniche, sono pari a 4 miliardi di euro, e per prassi sono equiparati ai depositi. Impensabile quindi ridurne il valore di rimborso, pena l’aprirsi di una crisi di debito sovrano. Restano i bond bancari subordinati, pari a 1,7 miliardi di debito, che potrebbero essere ricomprati sul mercato (quotano intorno al 30 per cento del valore facciale), o essere sottoposti ad un haircut, una decurtazione del valore di rimborso che pur fotografando l’esistente equivarrebbe ad un default esplicito.

Come sempre, vedremo quanto sono potenti gli investitori istituzionali che tali titoli detengono, e quanto sangue dovranno ancora sputare gli irlandesi, il paese “virtuoso” che ha finora accettato di giocare con le regole del consensus, promuovendo una deflazione in regime di cambio fisso per trarsi d’impaccio, e che è il primo paese di Eurolandia a ricadere in recessione, con un calo del Pil dell’1,2% congiunturale (cioè circa il 5% annualizzato) nel secondo trimestre di quest’anno. Ma il rischio è che la “sindrome islandese” vanifichi tutto, come vi abbiamo già spiegato due anni addietro, all’inizio della crisi.

Update – Chi non è pessimista sul destino dell’Irlanda è Goldman Sachs: c’è la Bce che presta alle banche, il Fondo europeo di Stabilizzazione Finanziaria (quello usato per la Grecia), il governo irlandese possiede un cuscinetto finanziario pari al 10 per cento del Pil, la misura del deficit annuale, e in definitiva (sempre per Goldman), quello irlandese è più un problema di liquidità che di solvibilità. Questa frase abbiamo iniziato a sentirla poco prima dell’implosione di Bear Stearns, e prima della fine di Lehman Brothers, ed è uno dei cavalli di battaglia delle banche d’investimento. Ma forse hanno ragione loro, alla fine arrivano i soccorsi. Finora.

Irlanda CDS

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