Continua, intensificandosi, il triste processo di trombonizzazione di Giampaolo Pansa, l’uomo di sinistra che per lustri ha menato memorabili fendenti alla sinistra ipocrita e parolaia di questo paese. Col passare degli anni, purtroppo, Pansa è andato tuttavia incontro a quel fin troppo noto processo di cristallizzazione narrativa che tutti conosciamo ed apprendiamo per vicinanza ad uno dei nostri cari anziani.
Un esempio è dato dall’editoriale scritto per Libero giorni addietro sulla vertenza Fiat, dove già i titolisti non aiutano Pansa, con quel “Storia della Fiat, da prigione a bordello: poi arrivò Marchionne“, che tuttavia è il fedele liofilizzato del pensiero dell’autore, che parte da Vittorio Valletta e si ferma alla disfatta del Pci berlingueriano e del pansindacalismo comunista, con la marcia dei Quarantamila, per poi introdurre repentinamente Marchionne il modernizzatore. Dopo quel 1980 ci sono state numerose ere geologiche, non solo al Lingotto, ma evidentemente non per Pansa, che liquida la pratica affermando che i dirigenti Fiom (e Cgil) di oggi erano bambini o ragazzi nel 1980, ma certamente sono colpevoli, per discendenza diretta da quel sindacato. E pazienza che si tratti della stessa Fiom che ha firmato con Fiat, tra gli altri, gli accordi del 2005 per i 17 turni a Melfi. Pansa è rimasto indietro di trent’anni, forse l’età ne limita il passo.
Forse documentarsi su quello che accade oggi a Mirafiori, Melfi, Cassino e negli altri impianti italiani del gruppo Fiat avrebbe mandato a pallino la tesi di Pansa. Ad esempio, è verosimile che i motivi di dissenso verso l’accordo per il contratto di lavoro della newco di Pomigliano abbiano poco a che spartire con il desiderio delle maestranze comuniste di utilizzare le pause turno per farsi una scopata dentro un’auto in lavorazione, disseminandone la selleria di preservativi (aneddoto che chi scrive ascoltava quando era bambino); meno ancora con l’obiettivo di proclamare scioperi utilizzati per sequestrare i capi intermedi e portarli in processione come trofei di guerra, umiliandoli. E poi, chiudere l’articolo con l’elogio senza se e senza ma di Piero Fassino, esempio vivente del flip-flopping impotente degli ex diessini italiani…
Proviamo a stare, se non proprio sull’attualità, almeno sull’ultimo decennio di storia italiana e della Fiat: le nostre capacità analitiche e di comprensione ne guadagneranno. Nel frattempo, prendiamo atto che questo resta desolatamente un paese per vecchi.