Prosegue l’encomiabile (e un po’ troppo idealistico, a nostro umile avviso) tentativo di Andrew Sullivan di confutare l’onda di piena che vede come fondamentale il ruolo di Guantanamo e delle tecniche rafforzate di interrogatorio nella individuazione ed eliminazione di Osama.
Dopo che la stragrande maggioranza dei giornali americani hanno pagato il loro lip service “agli anni di Bush”, restano un paio di punti fermi. In primo luogo, che la CIA lavori secondo determinati schemi e che tali schemi prevedano anche extraordinary rendition e (verosimilmente) anche le enhanced interrogation techniques, non ci piove. Non è che la CIA sia l’asilo di Cip & Ciop, né mai lo è stata, sotto alcun presidente americano. Non lo era neppure sotto Carter, per dire. Quindi continua a non essere chiaro quale possa effettivamente essere “l’eredità di Bush” nella eliminazione di Bin Laden. Secondariamente, è utile valutare gli esiti delle tecniche di interrogatorio utilizzate a Guantanamo sui due personaggi che avrebbero più contribuito, nella vulgata neocon, a riscaldare il cold case Osama:
La posizione di Khaled Sheikh Mohamed dopo gli “interrogatori”, come riportato dal NYT:
«According to an American official, familiar with his interrogation, Mr. Mohammed was first asked about Mr. Kuwaiti [il presunto fidato corriere di Osama, ndPh.] in the fall of 2003, months after the waterboarding. He acknowledged having known him but said the courier was “retired” and of little significance»
E la posizione di Abu Faraj al-Libi, l’altro “interrogato speciale”:
«According to an American official, familiar with his interrogation, Mr. Mohammed was first asked about Mr. Kuwaiti in the fall of 2003, months after the waterboarding. He acknowledged having known him but said the courier was “retired” and of little significance»
E ricordate che qui stiamo sempre parlando di fatti che risalgono da un minimo di quattro ad un massimo di otto anni addietro. E cosa abbiamo, quindi? Abbiamo il caso di due interrogatori con torture (waterboarding) che producono il nulla. Che la pista di Bin Laden sia stata rianimata con il lavoro sul campo in Pakistan ed Afghanistan appare verosimile, non foss’altro che per tempistica. Poi, se proprio vogliamo difendere con le unghie e con i denti il valore delle tecniche d’interrogatorio nelle prigioni speciali, facciamolo pure. Quello che appare sin troppo evidente è che l’esistenza di Guantanamo appare poco produttiva all’esito di questa ricerca, per usare un eufemismo.
L’unica conclusione a cui possiamo arrivare è che Obama fa quello che hanno fatto pressoché tutti i suoi predecessori in era contemporanea, quando si tratta di gestire minacce esterne. Un vero scoop, non c’è che dire. Qualcuno rivaluti Nixon, per favore.
Se invece vogliamo continuare ad affermare il contrario, inondando la blogosfera di link e di copiaincolla selettivamente favorevoli alla tesi dei gioiosi frutti differiti del bushismo, facciamolo pure. Per la materia c’è sempre l’antimateria, e Giulietto Chiesa non può non trovare il suo incarognito doppelgänger. In entrambi i casi, logica e buon senso possono attendere.